01.04.2020, Un chirurgo dell’Ottocento (2/2).

“Quel giorno all’ospedale di Cividale era in programma un’amputazione. In tre minuti sono riuscito a staccare la parte malata del braccio del poveretto e a cauterizzare il moncone rimasto. Ho ricevuto calorosi applausi dalle persone presenti in sala operatoria”. Dunque, un tempo si operava a mani nude, indossando un grembiule allacciato sui vestiti con cui si usciva da casa e quello che si potrebbe definire “sala operatoria” era una stanza piuttosto trafficata. Gli strumenti chirurgici a volte erano sporchi o comunque frettolosamente lavati nel lavandino. Bisognava attendere la fine di quel secolo per vedere finalmente i camici bianchi, i guanti di gomma (1895), le cuffie per coprire i capelli e le mascherine di garza (1899). Tra i medici la mortalità era elevata: dissezionavano senza protezione i cadaveri dissepolti, eseguivano autopsie su corpi infettati. Potevano contrarre infezioni irreversibili anche tramite piccoli tagli alle mani. Bisognava attendere il 1850, grazie a un medico ungherese, che per dimezzare il rischio di infezioni era necessario da parte dei medici lavarsi le mani. I primi gas anestetici arrivarono a Cividale a fine Ottocento e fino a prima le operazioni si svolgevano da svegli, magari con un bicchierino di grappa prima di essere sottoposti al taglio della carne.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *