DAD? Uno dei mille acronimi della lingua italiana. Significa “Didattica A Distanza”, accorciativo neonato, come DPI (dispositivo di protezione), sigle che hanno colonizzato la nostra quotidianità. In paese abbiamo numerosi studenti sia della scuola primaria di primo e secondo grado, sia secondaria e dell’Università. Qualcuno festeggia lo scampato esame. Tutti con approcci diversi, tutti virtuali, tutti deflagranti dalla pandemia sono immersi nella DAD. Quando è stato preannunciato il non ritorno a scuola per questo disastrato anno scolastico, più di qualche genitore si è posto domande su come si prepareranno i giovani in un prossimo futuro fatto di capacità, di istruzione, di cultura, di competizione conoscitiva. La scuola è anche rigore, disciplina, una specie di calendario che scandisce le vite di molte famiglie. È la misura del tempo, della civiltà, dei diritti, della democrazia. Senza essa, tutti ci sentiamo più poveri, smarriti, spaesati. Ora ci accorgiamo che mancano i fondamenti della società, un’assenza che ha generato una voragine impressionante. Il nostro pensiero va anche alle maestre del nostro circondario, molto impegnate nel preparare le lezioni in video, le schede, le correzioni con risposte personalizzate, le riunioni interclasse, i colloqui con i genitori. Insegnanti più impegnati ora che prima. E nelle case c’è la rivoluzione: due figli = due computer o smartphone, la stampante, l’invio dei compiti svolti. Mica tutti hanno la dimestichezza con una tecnologia così avanzata? Qualche genitore si compiace per il livello tecnologico raggiunto in casa. Ecco perché la DAD è sinonimo di rivoluzione. Anche dei tinelli.