Io lo conosco da anni, non è nato eroe. Forse principe azzurro. Lo conosco abbastanza – abbiamo ricordi condivisi – come si può conoscere chi è allegramente restio a rivelarsi generoso e disinteressato, dote predisposta al gesto eroico. In pratica uno così non si conosce mai bene. E se dovessi dirla tutta l’ho sempre trovato essenziale, perfino mentre mi racconta delle sue attitudini creative e geniali. Misurato anche nell’entusiasmo. In lui traspare una intima solidità caratteriale, affidabile e disarmante, uno a cui dire ho bisogno di te senza preoccuparsi che possa squagliarsela. Ha belle mani, aristocratiche e lo si capisce dal modo con cui stappa una bottiglia di spumante. Mani da pianista, o da chirurgo. Suo malgrado, come tutti, si è trovato di fronte questa tragedia eppure, quando ha dovuto scegliere tra lasciare gli affetti, il riposo dorato della pensione e l’affrontare i rischi e le rinunce, credo non abbia avuto esitazioni. L’appello del camice è stato più forte. Come penso succeda, a occhio, per i novizi ogni volta che sentono la chiamata. L’ho immaginato con la moglie, intenti a preparare i bagagli sotto sguardi pesanti, in silenzio perché nel momento del coraggio e della sfida finanche le parole si ripongono in valigia. Si è messo a disposizione della Protezione civile che lo ha destinato all’Ospedale di Asti, Piemonte. Era in piena missione quando gli ho trasmesso i miei auguri di Pasqua. Mi ha risposto con un “A presto” col quale mi ha lasciato intendere, o sperare, che andrà tutto bene. Dopo tre settimane è tornato in Friuli, stanco ma in buono stato. Riprenderà le sue relazioni, i suoi interessi interrotti e rifletterà su qualche certezza sconvolta, ma non truccherà le carte fingendo di essere stato invincibile. Perché lui sa, nessuno nasce eroe.