Il telefono, la nostra voce. Occorrerebbe conferire a WhatsApp, a Messenger la medaglia al valor civile per il servizio che hanno reso alla società. Il telefono è uno dei grandi protagonisti di questi lunghi periodi di isolamento, di ansia, di tempo sospeso, in cui bastano due chiacchiere a distanza per tirarsi su, per ritrovare un po’ di ottimismo e, a volte, per combattere la depressione. Cos’avremmo fatto senza questi due grandi colossi gratuiti? Senza la loro presenza, la SIP avrebbe fatto miliardi con i messaggi a 0,10 o con le ricariche per pochi minuti e con la “tassa” del 10% nell’effettuarla. Le persone hanno parlato, hanno scambiato quantità impressionanti di video e foto al punto di rischiare la paralisi dell’intero sistema con due picchi, uno a fine marzo e uno a Pasqua. C’è un inconveniente per chi sta ore e ore incollato al cellulare e al tablet e questo è il lato svantaggioso della tecnica domestica: si seguono le lezioni, ci si intrattiene per socializzare facendo crescere il tempo trascorso davanti ai piccoli schermi. Al di là delle questioni di carattere psicologico (per i più giovani mancano i vecchi giochi di cortile con gli amici), la comunità scientifica lancia l’allarme in quanto si moltiplicano casi di “sindrome da occhio secco”. Quando fissiamo lo schermo, le palpebre battono circa il 40% meno del normale con la conseguente maggior evaporazione del film lacrimale e la sua imperfetta distribuzione sul bulbo oculare. Tale sindrome un tempo apparteneva agli anziani, ma oggi colpisce una fascia sempre più giovane della popolazione. Applichiamo, se possiamo, la regola del 20-20-2: ogni 20 minuti di visione da vicino, sia seguita dallo sguardo fisso di un oggetto lontano per 20 secondi, poi battere e strizzare le palpebre per 2 secondi …