I militari prima di essere arruolati, erano persone semplici, senza pretese: contadini, artigiani, sarti, operai, ma bastò poco per farli rendere conto che i loro ideali si sarebbero infranti, che nulla si sarebbe risolto né gloriosamente, né velocemente. Fu una trappola perché la fine del conflitto era lontana e le condizioni di vita infernali e di questo fatto i Savoya –sciagura d’Italia-, responsabili, non pagarono affatto il loro conto. Altroché guerra-lampo, bensì guerra di logoramento, che ha coinvolto centinaia e centinaia di valligiani. Nelle trincee i nostri soldati vivevano tra i pidocchi, topi, escrementi, vicini a corpi dilaniati dei compagni falciati dalle schegge delle granate. Erano malvestiti, avevano addosso sempre gli stessi –definiamoli- abiti, spesso bagnati fradici. I piedi erano quasi incancreniti perché sempre, tutto il giorno immersi nell’acqua putrida. Dopo gli assalti, tra le rispettive trincee distanti anche poche decine di metri e separate dal filo spinato, giacevano i feriti, recuperati se ancora vivi, durante la notte.