30.05.2020, Ciò che non ricordiamo della Grande Guerra (3/4).

I nostri valligiani erano assaliti da pensieri negativi, dal terrore, dalla nostalgia di casa, dall’incertezza, dall’angoscia e su tutti questi sentimenti c’era la fame, il freddo, la stanchezza stratificata. Nulla fu fatto dai comandi romani per alleviare le sofferenze dei nostri bis-trisnonni. Queste sensazioni iniziarono a fare i conti con il male oscuro, la follia. Lo squilibrio dilagò e colpì tutti indistintamente e indipendentemente dalla nazione di provenienza. I vari Diaz e Cadorna, ai quali oggi sono addirittura dedicate vie, caserme, piazze, scuole e bar, si distinsero per la loro lungimiranza: costruirono manicomi da campo per ricoverare i malati e rispedirli quanto prima al fronte, magari con una dose aggiuntiva di cordiale. Il falso-malato, se scoperto a simulare qualsivoglia malattia nella speranza di tornare a casa, era passato subito per le armi dopo un processo veloce, sommario e simbolico. Alcuni diari, certamente poco noti e nascosti per “amor patrio” descrivono pazienti che vagano nel buio, ombre del Purgatorio, la lingua a penzoloni da mascelle che sbavavano la brodaglia appena mangiata, scoprendo denti impressionanti.

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