“Je bila nìmar usà opituràna”, così dicevano di lei, ovvero, usciva sempre truccata anche quando andava nella macelleria volante del paese. Sì, forse non tutti sanno che avevamo una macelleria piuttosto rinomata, un’attività che oggi mai sarebbe consentita. Tra la casa dei Žèfovi (Ado, oggi Paolo Cedarmas) e del Colonnello c’era una lobia, una tettoia dove spesso era lasciato il carro. Ma fungeva anche da macelleria non solo di suini, ma anche di bovini. Era una (triste) attività che si svolgeva al momento del bisogno e preannunciata con giorni d’anticipo. La carne ancora calda era disposta su un tavolo in varie dimensioni. Le persone avevano la possibilità di scegliere la quantità desiderata che poi era posta su una bilancia stadera e venduta in base al peso e al tipo di taglia scelta. Erano momenti di calca sia per il fatto che di carne in quei tempi ce n’era ben poca, sia perché non si sa mai che un osso provvidenziale potesse fare da ingrediente principale per il brodo. La signora Andreina arrivava sul posto, collocato a 20 metri da casa sua, con la sua eleganza, con i suoi gioielli allineati ai polsi e con le dita ricoperte di anelli di pietra. Indicava il pezzo prescelto, lo pagava, si intratteneva qualche minuto con i conoscenti di paese e si ritirava in casa dove c’era il marito che raramente usciva dall’abitazione.