Seconda parte del contributo giunto da una paesana: “Altro avvenimento importante era la messa in chiesa a San Pietro e la processione in cimitero per ricordare i nostri defunti.
Naturalmente ci si andava a piedi ed eravamo contenti di incontrare parenti che altrimenti vedevamo raramente. Il problema in tutte le famiglie era il seguente: non bisognava far brutta figura presentandosi mal vestiti e calzati, dunque bisognava usare fantasia e creatività. Ci si prestava indumenti e giacche. Chi di noi aveva una zia, sorella o conoscente che faceva la donna di servizio in qualche città italiana, era “fortunata”. Le poverette quando tornavano al paese, un paio di volte all’ anno, portavano gli abiti smessi delle loro “padrone”, dunque entravano nelle case indumenti ancora buoni e di varie taglie. Anche le scarpe erano molto ambite; poco importava se la misura era quella giusta. Leggendo che una nota casa di moda italiana vende collant strappati a 140 euro al paio, penso a quei tempi. Grande fervore per la mamme che possedevano una macchina da cucire. Altrimenti in paese, oltre alle rinomate sarte, c’erano altre signore che si arrangiavano a fare lavori meno impegnativi. Decenni fa, molte ragazze friulane, ancora adolescenti, venivano mandate a fare “le serve”, quasi tutte in città del Nord Italia ed alcune a Roma. Venivano pagate poco e sfruttate, senza diritti e solo doveri. Il poco che guadagnavano era una grande risorsa per le loro famiglie. Alcune sono tornate al paese per sposarsi e farsi una famiglia, altre sono rimaste a vivere nella città dove si erano stabilite”.