Il “purzitàr” (norcino) Egidio di Sorzento, conosciuto come “bazjak” arrivava sul luogo del “delitto” alle 07:00 in punto con un cestino contenente gli attrezzi del mestiere fatti di coltelli, tritacarne e di un sacchetto per la raccolte delle setole migliori dell’animale. Intanto che si svolgevano le tristi operazioni, lui si beveva tranquillamente in cucina un buon caffè lungo, corretto con della grappa. L’allestimento della macelleria domestica non era cosa semplice: la panca (klòp) utilizzata per mandare al creatore l’animale bisognava chiederla ai Markici, il kotù in rame con il trepìs e con la capacità di almeno una settantina di litri di acqua bollente era di proprietà della Rosina e andava restituito ovviamente senza ammaccature, il bandòn per proteggere il fuoco dal vento era necessario chiederlo ai Mihciovi. Solo con questo “collage” di attrezzature chieste in prestito, raccolte e posizionate il giorno prima era possibile procedere “alla rottura del maiale”, argomento di alcuni pensierini di un nostro paesano che fece correggere all’allibita maestra Rade Podrecca Emma: “Oggi abbiamo rotto il maiale …”, forma italiana dell’espressione locale: “Donàs smo ubìli prasè”.