In quei tempi, diciamo dagli anni Cinquanta indietro, non esisteva la televisione e a inizio secolo neppure la corrente elettrica, né locali di ritrovo notturni. Bastava un filo di vento a muovere una fronda per confonderlo con uno spettro, o il lunare biancore lattiginoso, riflesso su un muro, per intravedere un fantasma. Le notti dei nostri antenati erano piene di inquietudine, brividi e angoscia. Si trattava di stati emotivi aggravati dai racconti paurosi di zii e nonni che terrorizzavano tutti i bambini poiché intuivano, anche se piccoli, una sorta di paura presente anche negli adulti. Il diabolico, il fantastico, l’infero, il mortifero e l’immaginario più pauroso avevano la notte come principale sfondo d’azione, il momento privilegiato della loro manifestazione. La notte dei nostri trisavoli era costituita da figure incerte: presenze ambigue che provenivano da una dimensione sospesa con una consistenza indefinita, fluente, fumosa, velata, con il sottofondo di strade e borghi di Ponteacco immersi in un inquietante silenzio. Questo “indefinito” che oltrepassava le muraglie degli orti, i muri del cortile dei Serafini, si aggirava dientro le stalle e poteva spaventare uomini e animali colti nel sonno …