06.11.2024   Africa medievale – L’Eredo di Sungbo.

(Articolo di Elvira C.)

La Fortezza Eredo di Sungbo, situata nella Nigeria sud-occidentale, è una delle strutture difensive più imponenti dell’Africa precoloniale. Questo complesso di mura e fossati, noto anche come Sungbo l’Eredo, ha una storia che si intreccia con miti e leggende locali ed è un importante simbolo della cultura Yoruba. Spesso paragonata alla Grande Muraglia cinese per la sua estensione, questa costruzione storica rappresenta un capolavoro di ingegneria militare e organizzazione sociale dell’antica civiltà africana. La fortezza prende il nome da Sungbo, una figura leggendaria nella tradizione orale della regione. Alcuni credono che Sungbo fosse in realtà la regina Bilikisu Sungbo, associata a miti locali che la identificano come la leggendaria regina di Saba, menzionata sia nella Bibbia che nel Corano. Secondo la leggenda, la fortezza sarebbe stata costruita in suo onore o per proteggere il suo regno. Tuttavia, la storia precisa di Sungbo rimane avvolta nel mistero e nella mitologia, rendendo la sua origine un affascinante argomento di studio per archeologi e storici. L’Eredo di Sungbo è costituito principalmente da un sistema di mura di terra e fossati, che si estende per circa 160 chilometri. Questa imponente struttura, costruita tra il IX e il XV secolo, raggiunge un’altezza di circa 20 metri in alcuni punti, con fossati che arrivano a profondità significative. La costruzione è un esempio straordinario di come le società africane utilizzassero le risorse naturali per la difesa, sfruttando la terra locale per erigere imponenti barriere. La fortezza racchiude una vasta area che comprende diversi insediamenti e centri abitati, suggerendo che la sua funzione fosse sia difensiva che di demarcazione territoriale. Oltre alla sua impressionante architettura, Sungbo l’Eredo rappresenta un’importante testimonianza della capacità organizzativa e ingegneristica degli antichi Yoruba. La sua costruzione richiese un coordinamento collettivo significativo, con migliaia di persone coinvolte nella sua realizzazione. Questo dimostra l’esistenza di una società altamente strutturata, con leadership forte e capacità di mobilitare grandi risorse umane. Molto prima dell’arrivo dei Portoghesi nel 1472, qui si scambiavano ricercati prodotti agricoli e spezie, tessuti e sale, si fabbricavano perle di vetro, vasellame e raffinati oggetti in bronzo. Sono stati ritrovati resti di pavimenti costruiti con frammenti di vasi, quindi con materiali di riciclo. Nonostante la sua rilevanza storica, la fortezza è stata a lungo trascurata nelle narrazioni archeologiche globali, anche se negli ultimi decenni ha iniziato a ricevere maggiore attenzione da parte di ricercatori internazionali. Il sito, oggi considerato patrimonio culturale, attira visitatori e studiosi, rendendolo un luogo di grande importanza non solo per la Nigeria, ma per l’intera storia dell’Africa precoloniale. La Fortezza Eredo di Sungbo è un monumento eccezionale che offre uno sguardo sulla complessità delle antiche società africane. Rappresenta non solo un’opera d’ingegneria, ma anche una testimonianza del patrimonio culturale della Nigeria e dell’intero continente africano, spesso troppo sottovalutato.

05.11.2024   I quaranta anni della Scuola Bilingue e la figura del suo fondatore Paolo Pericig.

(Articolo di Marina P. / seconda parte 2 di 2)

 Sempre nel 1974, un primo gruppo di bambini prese parte al soggiorno estivo Mlada brieza. Fu proprio questa iniziativa (che proseguì per diversi anni) durante la quale decine e decine di ragazzi svolgevano ogni estate nei paesi di montagna delle Valli del Natisone esperienze di relazione, di conoscenza dell’ambiente e della cultura locale, attività espressive e musicali e di approccio alla lingua slovena, il primo passo verso l’istituzione dell’insegnamento bilingue italiano/sloveno nelle Valli del Natisone e nella Provincia di Udine. A partire dall’esperienza di Mlada Brieza, egli maturò l’idea di istituire una scuola privata bilingue e nel 1980 promosse la nascita dell’Istituto per l’istruzione slovena, da lui a lungo diretto, seguita nel 1984 dalla fondazione della Scuola bilingue (con un centro prescolastico) con 5 bambini, diventati 11 nel corso dell’anno scolastico e, due anni dopo, dall’avvio della prima classe elementare. Oggi conta ben 227 iscritti e comprende una Sezione primavera (dal 2021), una Scuola dell’infanzia (dal 1984), una Scuola primaria ed una Scuola secondaria di primo grado (dal 2007). Nel 2001 viene riconosciuta dallo Stato e pienamente inserita nel sistema scolastico italiano. Nell’ambito delle attività del Centro studi Nediža, Petricig promosse anche iniziative quali l’organizzazione dei campi-scuola durante l’emergenza del terremoto nel 1976, la prima Scuola di Musica di San Pietro al Natisone e, nel 1977, l’istituzione dell’Associazione Artisti della Benecia, con la Beneška galerija, di cui fu per molti anni presidente e animatore. Fu autore di numerose pubblicazioni e saggi nel corso ella sua vita. In campo artistico realizzò opere pittoriche e grafiche, presenti in diverse collezioni pubbliche e private; le sue numerose fotografie e i suoi molteplici filmati (attualmente in fase di digitalizzazione e catalogazione) rappresentano un importante corpus archivistico che documenta la vita sociale e le attività culturali degli ultimi decenni del Novecento nelle Valli del Natisone.

In parte estratto dal sito dell’Istituto comprensivo con lingua di insegnamento bilingue italiano-sloveno.

Nella foto La Presidente slovena Nataša Pirc Musar tra il sindaco di San Pietro al Natisone Cesare Pinatto, il Direttore della Scuola Davide Clodig.

04.11.2024   I quaranta anni della Scuola Bilingue e la figura del suo fondatore Paolo Petricig.

(Articolo di Marina P./  prima parte, 1 di 2)

Sabato 5 ottobre presso Santa Maria dei Battuti a Cividale si è tenuta l’inaugurazione della mostra documentaria per il 40° anniversario della scuola bilingue di San Pietro al Natisone “ La scuola di Paolo – Pavlova šola”. Nel corso di questo anno scolastico sono previste diverse iniziative per i festeggiamenti di questa importante ricorrenza. Ad iniziare, oltre alla mostra dedicata, c’è stata la visita ufficiale della Presidente della Repubblica di Slovenia, signora Nataša Pirc Musar,  tenutasi il 15 di ottobre, che, oltre a visitare la scuola, ha anche incontrato vari esponenti delle istituzioni locali, regionali e statali nella sede del Municipio. Ha inoltre incontrato alcuni esponenti di aziende locali (come ad esempio le “Donne della Benečia”) che le hanno presentato i prodotti delle nostre valli. Passiamo ora alla figura di Paolo Petricig. Paolo Petricig (6.2.1929-10.8.2005) fu insegnante, educatore, artista, politico, saggista, instancabile organizzatore culturale. Ideatore e fondatore della Scuola bilingue di San Pietro al Natisone. Tra il 1975 e il 1985 svolse il ruolo di consigliere provinciale a Udine. Nel 1972 con un gruppo di amici e collaboratori fondò il Centro studi Nediža, associazione che si proponeva di affrontare lo studio della Slavia friulana nei suoi vari aspetti, di diffondere i risultati delle ricerche relative a questo territorio e di individuare possibili interventi per il miglioramento della situazione socio-economica dell’area di confine in Provincia di Udine e per la sua valorizzazione culturale. In questo contesto organizzò dapprima diversi cicli di conferenze, con cadenza annuale, denominati Benečanski kulturni dnevi / Incontri culturali della Benecia, cui parteciparono studiosi di diverse discipline sia italiani che sloveni (dal 1973 al 1992), mentre nel 1974 ideò il primo concorso dialettale Moja vas, attraverso il quale bambini e ragazzi in età scolare, cimentandosi con la scrittura in dialetto sloveno, potessero recuperarne progressivamente la padronanza e l’uso.

Nella foto Paolo Petricig

03.11.2024  Una visita al cimitero.

Come da tradizione per la Festa dei Santi, nelle nostre Valli l’1 e 2 novembre si sistemano le tombe e si visitano quelle di parenti e conoscenti; molti sono i cimiteri di montagna molto caratteristici e spesso con un bel panorama. Ponteacco non ha mai avuto un cimitero e quindi i nostri cari sono seppelliti a San Pietro ma molti lo sono  anche a Brischis, a Lasiz, ad Antro. Visitando il cimitero di Brischis (Pulfero) ci è capitato di notare una tomba molto vecchia nascosta nell’angolo a nord, sotto il muro di contenimento. La curiosità è caduta sulle date di morte dei due defunti, il 1923: una tomba di ben 101 anni! La seconda curiosità sta nell’intestazione che specifica la provenienza; infatti i due coniugi che giacciono insieme si chiamavano Luigia Coren di Ponteacco (ben specificato!) e Giovanni Manzini di Brischis, morti entrambi nel 1923. Subito si è aperto un dibattito tra i visitatori locali su chi fossero, come mai una tomba così vecchia e un po’ abbandonata è ancora lì, ecc. Ma oggi sulla tomba c’era un ciclamino, e qualcuno ha detto che lo aveva deposto un signore di Vicenza…(il mistero si infittiva). La risposta è stata data, molto più tardi, da Ada di Ponteacco (92 anni). Si tratta dei genitori dello stradino Donato che abitava nella casa che era abitata ultimamente dalla Carolina  in borgo Golles. I suoi figli sono andati ad abitare in altre regioni e, quindi, un pronipote nostalgico, dopo tanti anni, è passato a rendere omaggio ai suoi avi. Una bella storia.

02.11.2024 Novembre.

Pare che, secondo le ultime statistiche, Novembre non sia il mese meno amato dagli italiani perché manca poco alle feste natalizie…mentre lo è gennaio perché è il mese che si porta via tutte le grandi feste. Novembre è il mese dei giorni brevi, il mese di bruma, davanti mi scalda e dietro mi consuma, dice un proverbio per indicare l’arrivo dell’inverno e del solstizio. E’ il mese del freddo che una volta portava la prima neve, ma anche quello dell’estate di San Martino, 11 novembre,  con probabili giornate soleggiate e tiepide.  Per tutti i Santi la neve è sui campi, per i Morti la neve è negli orti. Per San Martino cadon le foglie e si spilla il vino. L’estate di San Martino dura tre giorni e un pochino. Un’altra Santa viene festeggiata il 25, è Santa Caterina, per Santa Caterina o neve o brina. Infine, il 30 novembre non ci si dimentica di Sant’Andrea : Per Sant’Andrea piglia il porco per la sèa; se tu non lo vuoi pigliare fino a Natale lascialo andare. La versione friulana è A Sant Andree il purcìt  su la bree. Come non ricordare la filastrocca che ci insegnavano alla Scuola elementare per ricordare il numero dei giorni dei mesi dell’anno:  trenta dì conta novembre con apri,l giugno e settembre, di ventotto ce n’è uno, tutti gli altri ne han trentuno!

01.11.2024  Tutti  Santi.

Il primo Novembre si festeggia la ricorrenza di Tutti i Santi, sia i cristiani della Chiesa Cattolica che  quelli Ortodossi; un tempo veniva festeggiata anche la vigilia e l’ottava ma papa Pio II nel 1955 le ha abrogate. Più sentita, forse, la Festa della Commemorazione dei defunti del 2 Novembre, giornata in cui tutti si recano nei cimiteri a trovare le persone care. Sono giornate dedicate al ricordo e alla riflessione ma ora sono più ricordate per la festa di Halloween che il sistema consumistico globale ha imposto e che molti seguono. Nei tempi passati era tradizione che tutta la famiglia si ritrovasse, dopo cena, per recitare il Rosario. Oggi e domni nelle Parrocchie delle Valli ci saranno molte Messe in tutte le Chiese principali, con processioni nei vari Camposanti annessi. Nella nostra rubrica “Curiosità” potete consultare il calendario con gli orari.

31.10.2024 L’acqua dei Morti.

Riproponiamo un articolo di Francesco C. del 27.10.2018; crediamo sia n tema con il periodo.

La storia che raccontiamo, si presume plausibile, è riconducibile all’800. Dietro Mezzana, non lontano da Pechinie (Savogna) si trova un’area chiamata “Studèncah” (pronunci a Studènzah) ricca di sorgenti; una di queste si trova tutt’oggi all’altezza di un quadrivio di strade di montagne: una porta a Rodda, una a Mezzana-Ponteacco, una a Stermizza e una a Montemaggiore. Il nome di questa sorgente è Martvàška uodà o Acqua dei morti. Fino all’800 le persone che morivano a Pechinie, Stermizza e Montemaggiore venivano trasportate a spalle lungo la strada di montagna, passando per Mezzana e Ponteacco fino al cimitero di San Pietro al Natisone; le frazioni di alta montagna del comune di Savogna, infatti, non avevano il Camposanto. I piccoli cortei con la bara in spalla si fermavano di regola alla fontana, che prese il nome proprio dalla consuetudine di fare una sosta di ristoro per le persone affaticate. Si racconta che d’inverno, quando nevicava copiosamente e tutti se ne stavano ben tappati in casa, se c’era qualche defunto da accompagnare al cimitero, lo portavano fino all’Acqua dei Morti e lo seppellivano nella neve; soltanto al disgelo liberavano la bara per portarla a valle, in cimitero. Sarà vero? Si dice di sì.  Inutile dire che quell’area è tutt’oggi ricca di fantasmi e rumori sinistri per chi l’attraversa all’imbrunire!

30.10.2024 Non solo funghi velenosi…

Abbiamo parlato di funghi velenosi e funghi buoni che in questo periodo vengono cucinati nelle nostre cucine autunnali; in molte ricette si aggiunge una bella manciata di prezzemolo. Ma lo sapevate che il prezzemolo, oltre ad essere dappertutto, è anche tossico? Certo, solo se mangiato in grande quantità può dare forme di anemia e problemi epatici, mentre è sconsigliato durante la gravidanza perché può procurare contrazioni uterine. Basta fare una visita all’Orto dei veleni presso il Civico Orto botanico di Trieste per conoscere la tossicità di molte piante, anche le più comuni come il prezzemolo. In tutto il regno vegetale una specie su 100 è velenosa, e circa 20 sono i principi velenosi che possono trovarsi su tutta la pianta o solo in alcune parti di esse. Sono velenose piante come il mughetto, l’elleboro, il vischio, la stella di natale L’oleandro è tutto velenoso, pure se bruciato (pare che alcuni soldati di Napoleone siano morti per aver usato legno di oleandro come spiedo per cuocere la carne); è velenoso pure il  miele prodotto dai fiori di oleandro e si ha notizia di persone intossicate per aver mangiato delle chiocciole che si erano alimentate con le sue foglie. L’erba di San Giovanni, presente in molti giardini, contiene una sostanza che reagisce alla luce solare e provoca ustioni e lesioni alla pelle. Ma le piante velenose, trattate dagli esperti, possono farci del bene: quando vengono sfruttate come farmaci e nelle terapie mediche. Ad esempio il bosso comune, che è un arbusto che cresce lentamente, molto longevo, ha il legno (unico tra gli alberi) che non galleggia, ed è molto velenoso, ma viene studiato e usato nelle terapie antitumorali; pare che inibisca lo sviluppo delle cellule cancerogene. Il Giardino più grande e pi velenoso al mondo è l’Alnwick Garden in Inghilterra, che ospita quasi tutte le piante velenose della Terra. All’ingresso un cartello avverte: attenzione, queste piante possono uccidere”.

29.10.2024  Protostoria nelle Valli – Il ripostiglio di Celò.

(Articolo di Elvira C.)

Nella primavera del 1997, il Museo Archeologico Nazionale di Cividale ha effettuato degli scavi nel comune di Pulfero nella zona conosciuta come Celò, su segnalazione di un abitante. Sulla riva destra del fiume sono stati trovati due piloni di pietra, probabilmente resti di un ponte di epoca romana, mentre tra gli abitati di Cicigolis e Lasiz è stato ritrovato, nel bosco, un ripostiglio formato da una buca circolare di circa 47 cm di diametro e di una trentina di centimetri di profondità. All’interno di questa fossa sono stati trovati 43 oggetti di bronzo molto ben conservati, per un peso di circa 35 kg. Gli oggetti erano stati riposti in ordine e probabilmente contenuti in un sacco di pelle. Ci sono oggetti di vario tipo, tra cui asce, pezzi di asce, di falcetti e di spade e anche dei pani di bronzo, alcuni ancora interi. Questo ritrovamento testimonia l’importanza delle Valli del Natisone quale via di commercio, già nel periodo in cui sono stati fabbricati questi oggetti, tra il XII e l’XI sec. a.C. All’epoca, il bronzo era un materiale molto importante e prezioso, quindi questo sicuramente era un tesoro per chi, secoli fa, ha deciso di nascondere questi oggetti nella terra, pensando di riuscire a recuperarli. Ma come spesso succede, si accumulano e si nascondono ricchezze di cui qualcun altro godrà…

Nella foto: i reperti di Celò, ora conservati nel Museo Archeologico Nazionale di Cividale.

28.10.2024 Fughi micidiali.

La cronaca del mese di ottobre è carica di articoli sui numerosi avvelenamenti da funghi che si sono verificati in tutta Italia; molte le persone morte ( a Genova un 44enne, a Lodi un 68enne, a Varese un 91enne….) e molti ricoverati in terapia intensiva in attesa di trapianto del fegato, come nel caso successo a Treviso in cui madre e figlio sono stati ricoverati. Purtroppo sono ancora molte le persone  che si fidano della propria esperienza o di quella degli amici e consumano i funghi senza prima averli fatti controllare nei centri preposti in tutte le ASL. In tutti i casi la responsabile è stata l’amanita phalloides, fungo velenosissimo di cui basta mangiare un milligrammo ( per peso corporeo) per avere danni irreversibili al fegato dopo sole 6 / 12 ore. Certo è che nei nostri campi, boschi  e prati il pullulare di funghi, soprattutto chiodini, è davvero fuori dalla norma; crescono davvero ovunque e invogliano a fotografarli e a raccoglierli. Si legge sul Web che per riconoscere l’amanita basta schiacciare tra i fogli di giornale un pezzettino di fungo e farci cadere sopra qualche goccia di acido muriatico sull’impronta lasciata: se si forma un alone blu dopo alcuni minuti è il segnale che si tratta di amanita phalloides. Nella foto: funghi nei dintorni di Ponteacco.