I militari prima di essere arruolati, erano persone semplici, senza pretese: contadini, artigiani, sarti, operai, ma bastò poco per farli rendere conto che i loro ideali si sarebbero infranti, che nulla si sarebbe risolto né gloriosamente, né velocemente. Fu una trappola perché la fine del conflitto era lontana e le condizioni di vita infernali e di questo fatto i Savoya –sciagura d’Italia-, responsabili, non pagarono affatto il loro conto. Altroché guerra-lampo, bensì guerra di logoramento, che ha coinvolto centinaia e centinaia di valligiani. Nelle trincee i nostri soldati vivevano tra i pidocchi, topi, escrementi, vicini a corpi dilaniati dei compagni falciati dalle schegge delle granate. Erano malvestiti, avevano addosso sempre gli stessi –definiamoli- abiti, spesso bagnati fradici. I piedi erano quasi incancreniti perché sempre, tutto il giorno immersi nell’acqua putrida. Dopo gli assalti, tra le rispettive trincee distanti anche poche decine di metri e separate dal filo spinato, giacevano i feriti, recuperati se ancora vivi, durante la notte.
28.05.2020, Ciò che non ricordiamo della Grande Guerra (1/4).
La nostra non è una corsa verso il passato, ma è semplicemente una corsa verso la memoria storica con la presunzione di contribuire a fare chiarezza su aspetti forse poco conosciuti. Il primo conflitto mondiale (1914-1918) è chiamato “Grande Guerra” poiché nella storia del genere umano non c’è mai stato uno che avesse coinvolto un numero così significativo di nazioni e soldati. Per quanto riguarda l’Italia, la Grande Guerra causò 650.000 vittime, mentre a casa tornarono 500.000 mutilati, 200.000 feriti e 40.000 con gravi patologie psichiche. Questi ultimi furono bollati con un irriverente “scemi di guerra”, locuzione che si usa ancor oggi nel gergo confidenziale. La storia ha steso su questi un velo d’oblio. Ad esempio, la mamma di Angelo, la signora Maria, era ancora bambina quando un numero imprecisato di frammenti di granata le lesionarono ampie parti del corpo con gravi conseguenze per tutta la vita, per non parlare di case, stalle e porcili saccheggiati, di anziani picchiati, di ragazzine stuprate. Molti soldati aderirono alla Grande Guerra affascinati dall’idea romantica di eroismo e patria. I colli alle spalle di Gorizia erano pieni di cadaveri, morti inutilmente visto che quelle alture dopo 30 anni passarono alla Jugoslavia prima e alla Slovenia poi…
27.05.2020, Amiamo mangiare in compagnia.
Il Friuli senza convivialità è proprio come un unicorno senza il corno. Alle nostre latitudini il mangiare in compagnia è altrettanto importante che mangiare. La concentrazione di trattorie, ristoranti, osterie, enoteche, birrerie, stuzzicherie, feste gastronomiche fanno della nostra regione una successione di tavole imbandite e occasioni degustative. Lo vediamo anche noi quando organizziamo (organizzavamo) cenette: la gente era felice di stare e mangiare assieme, in compagnia. La recente crisi sanitaria ci ha “murati” in casa, sia sul piano sociale che alimentare. Abbiamo mangiato tra pochi familiari e più di qualcuno si lamenta di aver messo su chili di troppo. Le norme che disciplinano il riavvio delle vecchie abitudini non aiutano a uscire. Ci sono poi certe incongruenze nelle normative stesse: si può uscire con parenti fino al 6° grado, ma non possiamo metterci a tavola con i nostri migliori amici: quindi il cucino mai visto in 30 anni, sì, ma il/la testimone di nozze o il santolo/santola del figlio, no. Migliaia sono gli esercizi pubblici oggi in crisi nera. Centinaia di migliaia di turisti hanno assaggiato lo scorso anno le prelibatezze della nostra cucina e bevuto almeno una bottiglia di vino pro-capite. È necessario salvare la cucina “Made in Friuli”, visto che noi non ci sediamo per mangiare, ma per mangiare insieme.
26.05.2020, La visita di Franz Joseph a Gorizia (2/2).
La visita di Franz Joseph a Gorizia (2/2).
Appena apparve Sua Maestà al balcone, un coro di almeno 20.000 persone urla a squarciagola «Hoch, evviva, živio» e così lungo il Corso, tra due ali di folla festante, che agitava cappelli, fazzoletti. In piazza Grande l’Imperatore entrò nella chiesa di Sant’Ignazio, baciò l’acqua santa e si fece il segno della croce dirigendosi dritto con passo sicuro verso il baldacchino dell’altare. L’articolo prosegue: “Il coro intona inni quali il “Domine salvum fac Imperatorum nostrum Franciscum Josephum” e il “Tantum Ergo”. Poscia sfila davanti alla formazione della Marina di Cervignano … la città è illuminata a giorno dalle lampadine elettriche, il castello ora appare di tinte rosse, poi blu”. I nostri valligiani, muniti di torce accese, furono salutati dall’Imperatore assieme agli altri gruppi. “Affacciatosi al balcone per l’ultimo saluto, l’Augusto fu acclamato da un’ovazione entusiastica, che ha commosso e trasportato tutti alla viva gioia”. Nessuno dei presenti avrebbe mai immaginato che dopo 20 anni sarebbe venuto in visita il nuovo padrone, tale Vittorio Emanuele Ferdinando Maria Gennaro di Savoja, quello delle invasioni, delle leggi razziali e del fascismo, quello della fuga da Roma in pieno bombardamento. Quello corto 153 centimetri che tutti chiamavano, tra i suoi 408 odonimi, “sciaboletta”, al quale avevano forgiato una spada cortissima, poco più di una baionetta, sulla groppa di un pony.
25.05.2020, Ieri al Centro, in paese e nelle Valli.
Finalmente il Centro ha riaperto i battenti. Il calendario era fermo al mese di febbraio con annotati gli ultimi turni eseguiti, i tre orologi ancora sincronizzati sull’ora invernale. Sabato è stata preparata l’area esterna con 4 tavoli da sagra, le relative panche dotate di strisce per la giusta distanza tra le persone, è stata sanificata la sala, i bagni, i tavoli con una soluzione base di varechina. È stato passato in rassegna l’intero contenuto dei frigoriferi da dove sono state prelevate decine di lattine di bibite scadute assieme a generi alimentari ampiamente scaduti, come strucchi e formaggi. Sanificati anche i frigoriferi, tutto era pronto per l’apertura di ieri mattina, domenica che si è dimostrata vivace, con numerosi soci presenti, tutti a commentare il lungo periodo di separazione forzata, a parlare di futuro e presente. In tutti si leggeva la soddisfazione di vedere riaperto il Centro, luogo di confronto e di socializzazione. Non si è parlato solo di emergenza sanitaria, ma anche di funghi, di miele, di feste del circondario soppresse. Siamo stati costretti a rinviare ad altra data l’apertura pomeridiana in quanto il gioco a carte non è ammesso senza una preventiva sanificazione delle carte, strumento di gioco da sempre carico di batteri. Anche per le prossime domeniche, dunque, l’apertura si effettuerà solo al mattino, fino alle 13:00. Traffico vivace sulla statale, ma anche sulla ciclo-pedonale. Anche a San Pietro al Natisone molta gente a spasso, tutti con la mascherina, tutti apparentemente rilassati a ribadire che (speriamo) presto il virus sarà solo un brutto ricordo. Buona settimana dal sito della Pro Loco.
24.05.2020, Visite imperiali a Gorizia (1/2).
Gli Asburgo erano di casa a Gorizia. L’ultimo a visitare la città ridotta in macerie fu l’imperatore Carlo accompagnato dalla consorte Zita nel novembre 1917, un anno prima del 04 novembre 1918, quando la storia di Gorizia sarebbe radicalmente mutata, con la totale sostituzione della fisionomia intellettuale, sociale e multietnica di un capoluogo multiculturale che perderà in pochissimo tempo tutte le peculiarità della cultura specialissima, quella goriziana. La notizia della visita dell’imperatore Franz Joseph la inseriamo nelle nostre news perché quel 29 settembre 1900 vide la partecipazione di un folto gruppo proveniente dalle Valli, chissà se anche da Ponteacco. Una cinquantina di persone guidate da mons. Luigi Faidutti (1861-1927), di Scrutto, deputato a Vienna nel 1907 e 1911. Abbiamo recuperato on-line il numero dell’”Eco del Litorale”, quotidiano del goriziano, che così, tra le altre, narra l’avvenimento: “Sua Maestà prende posto nella carrozza imperiale unitamente al suo ajutante S.E. il Conte Paar. Non possiamo contare le carrozze del seguito … All’uscita di S.M. dal Salone (oggi Prefettura) la banda cittadina ha intonato l’inno imperiale”…
23.05.2020, La criminalità nelle Valli tra ‘400 e ‘700 (4/4).
Nelle “raspe” era indicata la presenza o meno dell’imputato per difendersi dopo essere stato citato in giudizio. Era in voga la latitanza, specie per i reati più gravi. La pena pecuniaria era inflitta per i reati lievi e senza spargimento di sangue e si tramutava in carcerazione nel caso di mancato pagamento. Per i reati più gravi era prevista la pena corporale e la pena capitale pertanto gli imputati preferivano darsi alla macchia pur di risparmiarsi la vita o lunghi periodi di detenzione in celle malsane con sì e no 100 grammi di pane al giorno. Le pene corporali andavano dall’asporto di un occhio al taglio della mano. La pena di morte doveva essere esemplare e propedeutica: avveniva per impiccagione o squartamento. La meretrice o l’adultera erano collocate sulla schiena d’asino, a cavalcioni, all’indietro, con una mitra in testa sulla quale era descritto il delitto in breve. L’entità della pena era spesso variabile e l’assoluzione era “pro nunc”, per cui l’imputato era momentaneamente libero, ma richiamato al bisogno.
22.05.2020, La criminalità nelle Valli tra ‘400 e ‘700 (3/4).
I delitti contro la persona erano purtroppo assai comuni. Si commettevano omicidi anche per futili motivi e i documenti disponibili per il periodo indicato trattano sentenze contro ben 895 assassini, responsabili di omicidi premeditati, 346 imputati di lesioni gravi inflitte con il coltello. I delitti contro l’onore riguardano le ingiurie, le violenze sessuali su adulti e minori, la punta di un iceberg, e i delitti contro il patrimonio quali la piaga dei furti di vesti, suppellettili, animali, carri di fieno o frumento. Pochi sono i reati di truffa che, evidentemente erano risolti in altra maniera e comunque legati al gioco della morra, delle carte, dei dadi, della ricettazione e usura. Numerosi procedimenti hanno interessato le Valli, in seconda istanza, per quanto riguarda le controversie delle norme emanate da Venezia e valide per l’intero territorio, a tutela del proprio patrimonio fondiario come il taglio di castagni e querce che andavano concordati con l’Arsenale in cambio dell’autonomia. In questa sezione era incluso il contrabbando di sale, il porto abusivo di armi e la resistenza a pubblico ufficiale. C’era una conflittualità molto elevata, la cosiddetta guerra tra poveri, che mobilitava intere contrade contro altre con spedizioni punitive contro i nobili.
21.05.2020, La criminalità nelle Valli tra ‘400 e ‘700 (2/4).
Dai registri penali, chiamati “raspe”, è possibile risalire a scarne informazioni biografiche relative ai 3.563 imputati, cifra sicuramente in difetto per l’imprecisione di molti atti e di numerosi fascicoli mancanti, consistenti il patronimico (indicazione del nome del padre), la professione, la residenza e un giudizio sommario sulla morale dell’imputato, il certificato penale di oggi. Si legge la sentenza dell’ergastolo comminata a un omicida recidivo cividalese, assassino di tre persone. Negli atti c’era il nome del querelante, tranne quando si procedeva per anonimato, pratica assai diffusa in quei secoli. Molti documenti sono illeggibili, altri parzialmente leggibili. Nelle sentenze, trascritte come oggi su dettatura (nulla è cambiato nei secoli!), quasi sempre è descritta la dinamica dei fatti, a volte scarna ed essenziale, altre volte lunga e particolareggiata. Il giudice interpretava la richiesta della parte lesa e, sentito il difensore dell’imputato, pronunciava autonomamente la sentenza.
20.05.2020, La criminalità nelle Valli tra ‘400 e ‘700 (1/4).
La gestione autonoma della giustizia nelle Valli, attraverso le Banche di Antro e Merso non ha prodotto significativi documenti sull’istruzione dei processi, sui noi del collegio giudicante, sul procedimento degli adempimenti inquisitori. Nell’archivio della Biblioteca udinese “Vincenzo Joppi”, consultabile da tutti gli appassionati di storia ci sono ben 23 volumi pergamenacei dal titolo “Sentenze dei luogotenenti veneti dal 1458 al 1698. Si tratta di una fonte poco conosciuta e poco studiata, utile comunque per valutare l’incidenza complessiva dei fenomeni criminosi giunti alla corte del rappresentante veneziano e utili anche per analizzare nel concreto la struttura dell’organizzazione giuridica, una specie di Corte d’Appello per i valligiani scontenti delle sentenze pronunciate dalle due Banche. A fine Quattrocento c’era molto scontento nella popolazione, decimata da carestie, malattie e conflittualità tra padroni di grandi superfici terriere e sudditi e consorterie nobiliari che, com’è noto, furono le cause della sanguinosa rivolta del 1511, della quale ci siamo già occupati.