11.09.2020, Ceser (2/2)

C’era anche un divano di colore scuro dove si poteva eventualmente attendere il proprio turno. Probabilmente c’era anche un secondo tavolo e certamente una grande macchina da cucire. Cèser era sempre presente nel suo laboratorio, tutti i giorni della settimana, comprese le domeniche, dalla mattina alla sera. Di lavoro ne aveva sempre tanto e continuamente andava gente a ritirare i vestiti o a lasciare le proprie misure. C’era l’abitudine tipica di paese di fare un salto da Ceser, così come anche da Maria e Nilo, per scambiare quattro chiacchiere dove, è doveroso dirlo, il pettegolezzo non è mai stato di casa. Più volte si incontravano da Cesare anche le ragazze del paese e chissà quante confidenze avrà mai sentito dalle giovani. Graziana, Bruna, Ornella, Silvana -tanto per citarne alcune- spesso andavano in sartoria e portavano con sé un paio di cucchiai di zucchero. Lo scioglievano in un pentolino con manico e si gustavano lo “zucchero di guardia”, ovvero lo zucchero sciolto fino a farlo diventare una specie di medaglione color marrone. Un bel giorno il gruppo di ragazze si arricchì di qualche altra presenza e in un momento di euforia Cèser esclamò alle giovani: «Ma che “coas” fate!», una parola nuova per lui, forse sentita alla radio, per descrivere il “caos” che le giovani stavano facendo.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *