27.02.2022, Si tratta di autocelebrazione?

La domanda è la seguente: “Condividete quest’impressionante mole di foto e notizie, spesso strettamente personali, pubblicate su Facebook o Instagram?”. La risposta ci divide in due, i pro e i contro. Ma sorgono altri quesiti. Quanto è importante l’ascolto pubblico di storie private, intime, a volte fragili, mutevoli, che rivendicano una condivisione, un “mi piace”? Quanto abbiamo bisogno di essere notati per sapere di esserci veramente? Quanto regoliamo il nostro senso del sé, della nostra identità, delle nostre relazioni, a partire dallo sguardo degli altri? Sono domande da tenere sempre aperte, pronte, prive di moralismi o conformismi. Il dosaggio della condivisione di noi stessi con gli altri è un vero esercizio di alchimia. Ci sono molte persone che trascorrono buona parte della giornata con il telefonino in mano, spesso o molto spesso anche sul posto di lavoro o a orari biologici notturni, nel senso che si svegliano “biologicamente” a ore precise, programmate, per controllare il traffico dei “mi piace”, dei commenti. Molto spesso si scivola in argomenti privati, intimi, che si spiattellano senza tanti riguardi in rete. Spesso è sconsolante la mancanza di discrezione. Si fanno scenate e isterie per la “Privacy-pràivasi” e poi si notano persone che pubblicano vicende strettamente private al punto che è anche intervenuto il cantante Blanco in un’intervista dell’altro giorno: “Ragazzi (e molti adulti), tenere delle cose riservate può essere bellissimo”.

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