Il negozio del paese aveva un orario di apertura ben stabilito, nonostante ci fosse l’abitudine non sempre corretta o giustificata di bussare all’abitazione fuori orario per farsi consegnare articoli a volte non urgenti. Ci eravamo già occupati dell’olio di semi sfuso, venduto a peso o a numero di “krùhanze” -mestolo-: la richiesta più comune era il quarto di litro. L’odore inconfondibile dei sardelloni sott’olio proveniva da una scatola di metallo dal peso verosimile di 5 kg., colore blù con l’immagine del guizzo di un pesce nero. Flip diceva: “Faccio la polenta, la toccio nell’olio e poi mi mangio i ‘sardeloni'”. Il tonno sott’olio era collocato un una scatola, sempre sui 5 kg, di colore giallo metallizzato con l’immagine del pesce e di un veliero. Ben più penetrante era l’autentico tanfo del baccalà che sgocciolava da un trespolo. La fine del Carnevale e l’inizio della Quaresima coincidevano con la maggior richiesta di baccalà e solo l’abilità del negoziante precisava l’esatta quantità di stoccafisso da tenere in negozio. Era il pesce dei poveri, oggi è una pietanza per buongustai. L’invenduto andava consumato in breve tempo, quindi nonostante le proteste di Evelino, nel piatto poteva esserci per giorni baccalà-baccalà-baccalà. Anche la marmellata e la conserva potevano essere acquistate nella quantità richiesta che a volte corrispondeva a una sola pennellata sulla carta oleata con la successiva chiusura “a orecchio”, tipica di Elsa e Amilcare e che oggi non tutti saprebbero rifare …
17.02.2023, Profumi d’altri tempi (1/3)
“Verrà il giorno in cui venderemo solo merce impacchettata con la plastica!”, è quanto sosteneva Amilcare, gestore per oltre trent’anni assieme a Elsa dello storico e unico negozio del paese. Vi si trovava un po’ di tutto, parliamo del necessario, dell’essenziale, senza fare paralleli con quanto l’industria alimentare in questi ultimi decenni sia stata capace di rivoluzionare imballaggi e contenuti, persino inventando nuovi cibi. Il negozio di Elsa e Amilcare è stata una sorprendente galleria di profumi e odori originati dalla maggior parte degli alimenti, che si vendevano “sciolti”, ovvero nella quantità, spesso minima, richiesta dal cliente. In cantina una vasca in cemento a sinistra dell’ingresso conteneva una cospicua quantità di varechina (per molti verochina) che il negoziante vendeva a litro o suoi sottomultipli. L’odore di tale sostanza era talmente penetrante, che probabilmente ancor oggi un olfatto sensile lo può percepire. Era una norma comune, valida per tutti i negozi del tempo e che oggi forse solo l’emporio Moschioni di Cividale può rievocare …
16.02.2023, La Casa rossa di Udine (2/2)
La sveglia suonava presto, alle 4:00, giusto in tempo per una veloce colazione mentre nel cortile il carro con il suo carico di legna da ardere preparato la sera precedente, attendeva di essere agganciato al cavallo. Destinazione Casa rossa di Udine, 24km, due ore e mezza di viaggio calcolando una media di 10 km/h in leggera discesa. La Casa rossa era un autentico emporio, molto affollato soprattutto al mattino; il vasto piazzale interno costituiva una specie di esposizione dei prodotti del giorno proposti: legna da ardere, tavolame, castagne e l’importante era vendere, piazzare, per non tornare a casa con il carico. Il cavallo trovava ristoro con fieno e acqua fresca e non mancava il ristoro per il suo proprietario che poteva gustare il minestrone proposto dalla cucina, sempre profumato, fatto di fagioli, patate e una cotenna di maiale. Erano numerosi i carri temporaneamente parcheggiati. Il cliente si accordava con il venditore per la consegna della merce a domicilio, dove spesso si calendarizzava la consegna successiva. Generalmente il ciclo si chiudeva alle 13, con il rientro a casa. Ci risultano almeno quattro paesani impegnati in questo lavoro che ha funzionato con precisione e serietà fino agli anni Cinquanta. Ecco l’importanza del ruolo della Casa rossa con la sua storia avvincente finita tra i ruderi di un fabbricato appena abbattuto.
15.02.2023, La Casa rossa di Udine (1/2)
Per molti è stata una sorpresa, un mese fa, notare che al posto dello storico fabbricato color rosso-mattone, oggi c’è un vasto piazzale contornato da altri palazzoni, la cui destinazione è intuibile: centro commerciale e residenziale in posizione strategica, a pochi minuti dal centro, agli inizi di via Cividale per chi è diretto verso la cittadina longobarda. Un lettore potrebbe chiedersi: “Cosa ci lega?”. Forse non tutti sanno che la Casa rossa di Udine ha svolto un prezioso ruolo sociale ed economico, fino agli anni ’60. Era il capolinea della breve catena che oggi definiamo “dal produttore al consumatore”, una piccola ma efficiente piazza d’affari, utilizzata per decenni dai nostri nonni e bisnonni. La città era riscaldata a legna o a carbone, ma la maggior parte delle case e dei palazzoni non aveva lo spazio necessario per immagazzinare grandi quantità di combustibile. Il volume ideale corrispondeva al contenuto di un carro trainato dal cavallo. Il piazzale interno della Casa rossa era il punto d’incontro tra il produttore e il cliente, tra domanda e offerta …
14.02.2023, Riprendiamo
Riprendiamo con le notizie. Ci scusiamo con le lettrici e con i lettori per questa lunga pausa nella pubblicazione delle news: non c’erano le condizioni per poter svolgere il lavoro che merita attenzione, concentrazione e salute. Domani ci occuperemo della Casa Rossa di Udine, demolita 15 giorni fa, un vasto fabbricato molto vicino ai bisogni della nostra comunità.
07.02.2023, Ieri la festa della Patrona
Il Centro ha chiuso il portone alle 21. Abbiamo archiviato una bella edizione della festa del paese. Il parroco ha celebrato la messa in chiesa e si è soffermato su un mistero ancora mai chiarito: “Con che criterio sono state assegnate proprio a quel santo, o a quella santa le nostre chiese? Santa Dorotea a Ponteacco, san Biagio a Sorzento, san Silvestro ad Antro, San Floriano a Brischis e così via”. Infatti non esistono negli archivi dei verbali di Commissione canonica che attribuiscano la titolarità al santo. La figura di santa Dorotea è centrale nella pala di Durigoni, affiancata da santa Agnese e san Sebastiano. Quest’aspetto sollevato dal nostro sacerdote merita un approfondimento. Dopo l’ufar (Bacio della Pace) e la processione esterna in fila indiana con lumini, torce e display di telefonini, la commemorazione della Patrona è proseguita al Centro dove si è svolto un brindisi con l’assaggio di qualche stuzzichino.
06.02.2023, È la festa della nostra Patrona
Santa Dorotea ci protegge da secoli e anche oggi, 6 febbraio, la tradizione si rinnova mantenendo la data prevista dal calendario. Il lunedì, infatti, è giorno feriale ed è forse più scomodo o limitativo rispetto a una cerimonia in un fine settimana. Il programma è molto semplice: alle 17:30 il Centro sarà aperto, alle 18 si svolgeranno i Vesperi e alle 18:30 il parroco celebrerà la messa con l’ufar (bacio della Pace) attorno all’altare. Terminata la messa, il sacerdote aprirà la processione con i lumini lungo il perimetro esterno della chiesa. La ricorrenza della nostra Patrona terminerà al Centro con un incontro tra paesani. Ieri Marzia e Tonino, che ringraziamo, hanno portato a termine il loro turno programmato. L’afflusso di soci è stato nel complesso piuttosto contenuto. Auguriamo una buona settimana.
05.02.2023, Considerazioni sull’andamento climatico
L’argomento è molto dibattuto a livello planetario: il cambiamento climatico, che sta sconvolgendo i parametri geografici di vaste aree del mondo, è una realtà anche se non è da escludere aprioristicamente la teoria sostenuta da molti studiosi, che puntano la loro attenzione sui cicli caldo/freddo che da sempre hanno interessato anche la nostra regione. Basterebbe una forte eruzione vulcanica per far precipitare la Terra in un lungo inverno. Verso la fine della 1/a Guerra mondiale si sono succeduti tre inverni molto caldi e con estati siccitose, mentre negli anni ’30, un agosto freddo e particolarmente piovoso portò il comparto agricolo all’esasperazione, con relativi problemi di carestia. Le alte temperature di questi giorni fanno riflettere: dovrebbero essere i giorni più freddi della stagione, ma il termometro è di tutt’altro avviso. Ieri la temperatura ha sfiorato i 12 gradi, praticamente una giornata di primavera. Si nota l’andirivieni delle cimici della soia mai andate in letargo e lo svolazzare degli insetti. La neve al suolo è un antico ricordo. I meteorologi preannunciano prossime novità. Altrimenti sarebbe un guaio una nuova estate con tali premesse.
04.02.2023, Dipendiamo dall’energia elettrica (2/2)
L’interruzione dell’erogazione dell’energia elettrica, durata cinque ore, preannunciata e avvenuta mercoledì sera a San Pietro al Natisone-nord, Sorzento e Oculis, rappresenta indiscutibilmente la fragilità delle nostre abitudini e del nostro stile di vita. Dipendiamo dalla corrente elettrica, diventato bene primario senza poterlo vedere, ma con sconvolgimenti qualora non ci fosse. Come avevamo scritto ieri, dal Municipio al Centro studi, il capoluogo appariva in “coprifuoco”: tutto buio, case spente tranne la luce d’emergenza di un bar, vie e borghi senza illuminazione, la statale rischiarata dal passaggio delle auto. Una breve riflessione è necessaria: la corrente è diventata il fondamento della nostra società, è il fulcro del nostro sistema e tutto ruota attorno ai 225V che riceviamo costantemente in casa, nonostante le Valli soffrano di maggiori interruzioni rispetto alla pianura. La farmacia ha chiuso per tempo la saracinesca perché senza corrente era impossibile scannerizzare i farmaci; negozio chiuso per l’impossibilità di affettare ed emettere scontrini. Le candele, tanto comuni un tempo, ora sono diventate un oggetto pressoché inutile, difficile da recuperare in fondo a qualche cassetto. E poveri i ragazzi con i i computer bloccati. Spente le tv, così come il riscaldamento a gas e a pellet, senza pompe per la circolazione dell’acqua calda, piastre da cucina a induzione inutilizzabili così come i telefoni cordless. Ci sono stati disagi e per sole poche ore. Sarebbe un’apocalisse vivere l’esperienza di Kiev, 3 milioni di abitanti, al buio per giorni e giorni. La nostra società subirebbe uno shock irrimediabile.
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03.02.2023, Dipendiamo dall’energia elettrica (1/2)
Il 17 gennaio 1968 fu il culmine di una fitta nevicata senza interruzione, che interessò le Valli per 36 ore. L’imponente quantità di neve fu impossibile da gestire e molti paesi rimasero isolati, specie in montagna. Si verificò un lungo black-out nell’erogazione dell’energia elettrica causato dal peso della neve che spezzò molti cavi di bassa tensione, in quei tempi collegati di casa in casa, di palo in palo, come un dedalo di fili neri che ancor oggi si vedono nei Paesi dell’Est. La sospensione durò tre giorni per il fondovalle, alcuni in più per le frazioni in quota. Per i ragazzi del tempo, impegnati a slittare dal piazzale della chiesa fino alla fermata della corriera, si trattò di un’avventura fantastica, senza precedenti. Grazie all’assenza della corrente, tutte le scuole rimasero chiuse. L’interruzione passò in secondo piano: erano poche le abitazioni con la televisione dalla quale si poteva guardare solo il primo canale; le case erano riscaldate solo con stufe o cucine economiche, i fornelli a gas (pipigas) si accendevano con i fiammiferi svedesi, gli orologi e le sveglie erano tutti meccanici e in tutte le famiglie le candele erano a portata di mano. Il disagio finiva lì. La mamma organizzava la serata, si andava per tempo a prendere dalla nonna o dai Serafini il latte appena munto. Due o più giorni rappresentarono una gradevole novità, nonostante le interruzioni di corrente fossero quasi all’ordine del giorno, seppur di durata ragionevole. È necessario un paragone tra ciò che successe allora e il disagio causato dalla sospensione dell’erogazione dell’altro ieri a San Pietro al Natisone e Sorzento. Si è trattato di un provvedimento annunciato e motivato da urgenti lavori di manutenzione, che ha lasciato al buio mezzo capoluogo, dalle 17 alle 22. Domani descriveremo com’è andata …