24.04.2020, La polenta della Fighurina.

«Naš Perìn vija» (il nostro Perin sa). Diceva sempre così, riferendosi al marito, Milia soprannominata affettuosamente “Fighurina” per il suo fisico snello, ben proporzionato, elegante. Sono i nonni paterni di Marietto, che oggi abita proprio nella casa della nonna e utilizza quella cucina che ha fatto la storia della polenta del paese. Perin era specializzato nella costruzione dei fornelli in mattoni. Era sempre carico di lavoro, quindi nel complesso si parla di una famiglia benestante per quel il periodo. La preparazione della polenta, seppur povera di ingredienti, era un’autentica arte per la signora Milia. Per almeno nove mesi all’anno, apriva le due finestre della cucina, leggermente elevata rispetto al piano della strada e procedeva con la sua tecnica di cottura, che durava un’ora rispetto ai 40-45 minuti della norma di paese. E lo faceva con un quarto d’ora d’anticipo rispetto all’abitudine di mettersi a tavola, a mezzogiorno e alle 18:00. Aperte le finestre, in poco tempo si sprigionava in tutto il borgo della Gorìza un profumo irripetibile, indimenticabile, quello della polenta ben cotta. Spesso intorno alla sua casa, sulla piazzetta, si radunava un gruppo di bambini che attendeva con pazienza la distribuzione di un assaggio, una specie di piccolo antipasto prima del pranzo o della cena. Questa buona donna, ancora ricordata da tanti, era generosa, non ha mai detto di no. Chissà perché, ma anche le croste del suo kotù (paiolo) erano le più buone. Quelle che oggi si chiamano con termini altisonanti: “Fiocchi di mais”, che per Ponteacco corrispondevano ai “Fiocchi della Fighurina”.

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