19.05.2020, La precisione del nostro orologio.

Ogni mattina alle 07:45 l’impianto di automazione delle campane della chiesa di Sant Dorotea si “resetta” collegandosi con il Centro di Mainflingen, distretto di Francoforte sul Meno. Il nostro modulo integrato si connette con il segnale a 77kHz emesso dal Physikalisch-Technische Bundesanstalt che fornisce l’ora esatta a tutta l’Europa. Il codice di trasmissione è DCF77 (Deutschand-Onde lunghe-Frankfurt-77 kHz) e il segnale è prodotto da tre orologi atomici, uno al rubidio e due al cesio, che permettono una precisione di 2·10 -12 su base quotidiana e 2·10 -13 su base annua (qualche millisecondo di scarto all’anno). Ne consegue che tutto l’impianto delle campane con l’orologio, donato da Elena Coren zia di Graziana, sia estremamente esatto soprattutto dopo le modifiche ed integrazioni dell’impianto eseguite lo scorso anno. In poche parole, quando l’orologio batte il primo rintocco, nella cella campanaria l’ora è esatta e in paese, ad esempio casa Battistig, arriva un secondo dopo, considerando che la velocità del suono è di 331 metri/sec. Lo possiamo affermare con orgoglio: nessuno nelle Valli ha un impianto come il nostro  grazie proprio alla generosità di una zia che ha vissuto una vita in Australia e ha desiderato fare una donazione perenne a tutto il paese.

18.05.2020, Ieri a Ponteacco.

   La voglia di uscire e di lasciarci alle spalle uno tra i periodi più bui di questi ultimi decenni ha contagiato tutti. Quella di ieri è stata una domenica molto vivace. La strada ciclo-pedonale Ponteacco-San Pietro verso le 15:00 è stata definita “affollata”. Moltissime le bici, ma anche i gruppetti di persone che hanno assaporato i tepori di una domenica di primavera avanzata. Anche sulla statale sono tornate le moto, alcune roboanti, mentre anche i ciclisti sono tornati in mezzo alla strada, riprendendo così la vecchia abitudine consolidata prima dell’arrivo del virus. La settimana si apre all’insegna dell’ottimismo: finalmente potremo berci un caffè o cappuccino al bar, rivedere qualche vecchio amico o conoscenza. Riprenderemo anche noi le consuete aperture domenicali del Centro, limitate allo spazio esterno dove saranno collocati a debita distanza i tavoli. Dunque, solo chiosco e non sala del Centro (tranne per l’uso del WC) e il tutto se le condizioni meteo lo permetteranno. Desideriamo riprendere i vecchi contatti interrotti un paio di mesi fa. Riprenderanno anche i lavori al Mulino con la supervisione di Caterina Salvagno  che si è offerta di dare il suo parere e di seguire da professionista esterna la fase esecutiva delle opere. La nostra architetto sostiene che l’intervento sarà decisamente migliorativo. Auguriamo una settimana di serenità e  di ritrovata fiducia.

17.05.2020, Il cubo in pietra della kovacia.

   La foto della settimana riprende l’aspetto odierno di uno tra gli edifici più carichi di storia del paese, la kovacia. Si può comparare la foto di oggi con la stessa, scorrevole in home-page, riferita all’anno scorso. Si tratta di un bell’esempio di intervento conservativo. Peccato che è andato perso lo storico cubo in pietra, un blocco unico, multifunzione, collocato ai piedi della scala. Il cubo oggi avrebbe un grande valore in quanto è difficile trovare un parallelepipedo così compatto e adattato a vari usi. Aveva inserito un anello per legare la briglia del cavallo che attendeva l’intervento del fabbro agli zoccoli. Era dotato di una scanalatura che permetteva la perfetta piegatura del ferro a novanta gradi e la sommità, particolare più importante fra tutti, aveva un affossamento semicircolare nel quale si piegavano le tavole di castagno sagomate con l’acqua bollente, utilizzate per la produzione di botti. La stessa scanalatura era usata dal fabbro per sagomare gli anelli che tenevano assemblate le tavole della botte. La scanalatura era talmente precisa che la si utilizzava per la costruzione delle ruote dei carri. Il cubo oggi sarebbe un pregevole pezzo da museo, ricco di storia dell’artigianato del nostro paese.

16.05.2020, I piaceri del Settecento.

   Partiamo dal presupposto che la morale sessuale era stabilita da papi, vescovi, monaci, teologi, monsignori, parroci e cappellani, questo fino ad una cinquantina d’anni fa.. Si dice che nelle Valli del Settecento ci fossero vari episodi di poliandria (più mariti per una moglie) con situazioni se non peccaminose, quantomeno imbarazzanti. Fugando sotto le lenzuola dei nostri avi si scoprono variegate situazioni tra il lecito e l’illecito. Papa Gregorio Magno (540-645) aveva pubblicato un’enciclica nella quale diceva che “il piacere non può essere mai senza peccato. L’unione coniugale è immune da colpe solo se c’è l’intenzione di avere figli”. Ma la gente un po’ s’infischiava di questi proclami visto Vannozza Cattanei era una delle amanti di papa Alessandro VI. Quando ha appeso l’organo riproduttore al chiodo, aprì una locanda chiamata subito dai romani “La Locanda de’ a’ Vacca”. Ci sono documenti che attestano la presenza di case di tolleranza a Cividale, frequentate da schiere di valligiani con tutte le conseguenze sulla salute dei nostri maschi. Sembra che un teologo bacchettone cividalese di metà Settecento fosse stato evirato da alcuni sconosciuti. La donna valligiana del tempo, consunta da stenti e fatiche. si preparava pettinando la sua attaccatura dei capelli in modo da alzarla il più possibile per mostrare la fronte (un “must” in campo sessuale). Lo sposo galante si presentava al mattino dalla sua amata con un piccolo dono per compensare la perdita della verginità. La consegna avveniva generalmente la prima mattina dopo il matrimonio. I rapporti extraconiugali erano moralmente condannati. Le adultere difficilmente potevano rifarsi una vita, mentre l’uomo era messo al bando della società, considerato poco raccomandabile.

15.05.2020, La cultura del legno (3/3).

   I mobili pregiati del nostro paese quali vintule, madie, testate dei letti, armadi e cassepanche erano fabbricati in noce o in ciliegio. Per le cassepanche più di qualche paesano possedeva splendidi esemplari creati con il legno di pero. Mobili eleganti erano anche quelli in castagno, mentre per le camere da letto era ricercato l’òntano il cui colore rossiccio conferiva al letto un’elegante tonalità, ravvivata anche con il trattamento di oli specifici. Le botti erano tutte in castagno, effettuate con l’assemblaggio di tavole sagomate (vedremo prossimamente il metodo utilizzato per la sagomatura) tenute assieme da anelli di metallo. Due o forse tre famiglie in paese possedevano delle botticelle piccoline, da 3-4 ettolitri al massimo, create con il legno di ciliegio. Erano utilizzate solo per il vino bianco. Il legno cedeva al vino bianco un lontano e gradito aroma del cuore dell’ossicino della ciliegia. I sommelier nostrani, che giravano di cantina in cantina per giudicare i vari vini, all’inizio del secolo scorso, utilizzavano una piccola ciotola per gli assaggi. Era chiamata “sklìada”, creata con il nocciolino, legno piuttosto ricercato anche per fare i pulentar, i bastoni di media lunghezza utilizzati per cucinare la polenta. Erano resistenti e non prendevano fuoco facilmente. Quella dell’utilizzo del bosco è stata ed è tutt’ora un’autentica civiltà le cui conoscenze andrebbero preservate, protette. Ecco perché abbiamo sottolineato l’importanza della stesura di un libro.

14.05.2020, La cultura del legno (2/3).

   Abbattuta la pianta, con i segoni si ricavava la preziosa trave pesante decine di quintali, che con enorme fatica fisica era posizionata su ciò che sarebbe diventato il colmo del tetto. Il legname dei boschi aveva tre tipi di destinazione: legna da ardere, legname per costruzioni e legname per attrezzi. In paese e in generale in tutte le Valli non esiste traccia di tavole o travi di conifere utilizzati per la costruzione delle vecchie case. Oggi con il legno lamellare, stanno comparendo anche da noi elementi in pino, larice o abete, pur essendo un legno non autoctono. In Alto e Medio Adige l’esempio è opposto poiché con il legno di conifere si costruisce tutto: baite, terrazzi, linde, sottotetti. Ad esempio, la palòta della madia, con la quale si prelevava la farina, oggi di metallo al mulino, era costruita con il legno d’acero, così com’erano pregiati i mestoli creati con lo stesso legno. Le persone più esigenti fabbricavano questi attrezzi da cucina utilizzando il noce. Forse non tutti sanno che i pavimenti più pregiati del paese erano prodotti con tavolame di pioppo nero, dell’Isola dei Salici in  mezzo al Natisone, proprio nella forra del fiume. È un legno d’acqua, si consuma meno del frassino e a differenza del nome, ha una polpa bianca che era resa candida il sabato, quando le ragazze “fregavano” pavimenti e gradini delle scale con la “verOchina” e l’acqua calda.

13.05.2020, La cultura del legno (1/3).

La convivenza con il bosco è annoverata già dai primi insediamenti nelle valli. Il binomio bosco-uomo è tutt’ora indissolubile, anche se appare cambiato nel corso dei decenni. Si potrebbe pubblicare un bel volume riguardo alle esperienze che ognuno ha accumulato in fatto di boschi, di utilizzo boschivo e di destinazione della materia prima prodotta sotto forma di legna da ardere, di travi e di tavolame. I nostri bisnonni giravano molto per i boschi e quando adocchiavano la pianta giusta, la curavano e anche la barattavano qualora la stessa si trovasse in proprietà altrui. Facciamo un esempio semplice, ma molto importante per la costruzione del nostro paese: la trave portante o maestra delle case. Non era mica semplice trovare la pianta che rispondesse ai requisiti di grossezza e linearità. Erano tutte di castagno, legno pregiato per le sue caratteristiche di essere resistente, non deformabile e, grazie al tannino, essere un naturale antitarlo. In molte case del paese si possono ancora vedere travi impressionanti, posizionate in soffitta da 120, 150 e più anni senza la minima decadenza data dal tempo. I castagni con i quali si ricavavano le travi dovevano crescere in un vallone, in un avvallamento anche angusto del bosco per svilupparsi alti, con un tronco snello ma non grosso, il più possibile privo di deformazioni. Se il bosco e il castagno in questione non era di proprietà, si scendeva a patti con il legittimo proprietario, pagando una somma pattuita, scambiando tale valore con altra legna da ardere o semplicemente con il proprio lavoro.

12.05.2020, Abbiamo evacuato bene?

   Il responsabile di un discount ci ha confermato la scomparsa della carta igienica un mese fa e il grande consumo che tutt’oggi si registra riguardo a quest’articolo. Sono giunti camion di rifornimenti. Quando si scriverà un libro ricordando questo periodo eccezionale vissuto dalla nostra società, la carenza di carta igienica forse avrà un capitolo a sé. Questo fenomeno molto curioso si è ripetuto anche in Austria, in Germania, ovvero in tutti gli Stati che hanno chiuso le attività per cercare di limitare il contagio. Prima ancora che acqua, vista la chiusura delle “case del Poiana”, o alimentari,  la gente ha fatto incetta del prodotto principe per pulire il proprio fondoschiena. Davanti all’avanzare del virus, sentiamo un istintivo bisogno d’igiene, che parte proprio dalla cura del boffice (dal “Il nuovo De Mauro”), l’Arsch in tedesco.  Un tempo si usavano le foglie o i fogli di giornale, fino alla comparsa dei rotoli negli anni ’60 o giù di lì. Gli esperti del settore concordano che il sistema di pulizia a mezzo di carta igienica sia il meno efficace, ma finora le alternative non hanno altrettanto successo. Oltreoceano vanno fortissimo le salviettine umidificate: l’anno scorso ne sono state vendute per 1 mld di Euro e spesso tutti i consumatori hanno la brutta abitudine di gettarle nel wc con gravi problemi di intasamento delle condotte. Il metodo migliore sarebbe il bidet, inventato in Francia nel Settecento, Paese che oggi ne fa il minor uso in EU: anche Maria Antonietta ne aveva uno in cella, mentre aspettava la ghigliottina. Gli americani lo scoprirono nelle case di tolleranza europee e oggi lo associano alla mercificazione del sesso: in poche parole non esiste nella maggior parte delle abitazioni. Oggi il bidet è utilizzato soprattutto in Italia. Può essere considerato un vanto e chissà se l’esito di quest’epidemia sarà quello di far comprendere al resto del mondo il valore del bidet e della sciacquatina. Un saluto alla lettrice Pia degli sms, che trasalirà per il contenuto di questa notizia, che ha semplicemente dell’umano.

11.05.2020, Ieri a Ponteacco.

   Abbiamo trascorso un bel fine-settimana all’insegna del relax, della cura dei giardini e degli orti. Le favorevoli condizioni del tempo hanno permesso le prime uscite organizzate, infatti sono ricomparsi i ciclisti e le moto, a dire il vero non in numeri esorbitanti come negli anni passati, ma presenze vivaci, a gruppetti di due o tre, oppure singoli. Ieri è stata ricordata la mamma con la ricorrenza sentita da tutte le persone che hanno la fortuna di averla. Si sono formate code alla fioreria di San Pietro al Natisone. Code pure in gelateria e alla Casa dell’Acqua, dove l’attesa tra le 10:00 e le 11:30 era di 15 minuti. Con oggi la “fase 2” concede altre libertà, quindi c’è una visione più ottimistica rispetto alle cupe domeniche di marzo e aprile. La settimana lavorativa assisterà al rientro al lavoro di molte persone, mentre non si allentano le precauzioni sanitarie che impongono l’iso della mascherina indossata e la distanza di almeno un metro da persona a persone. Auguriamo buona settimana, di soddisfazione e salute.

10.05.2020, Tecnologia tra alti e bassi.

   Il telefono, la nostra voce. Occorrerebbe conferire a WhatsApp, a Messenger la medaglia al valor civile per il servizio che hanno reso alla società. Il telefono è uno dei grandi protagonisti di questi lunghi periodi di isolamento, di ansia, di tempo sospeso, in cui bastano due chiacchiere a distanza per tirarsi su, per ritrovare un po’ di ottimismo e, a volte, per combattere la depressione. Cos’avremmo fatto senza questi due grandi colossi gratuiti? Senza la loro presenza, la SIP avrebbe fatto miliardi con i messaggi a 0,10 o con le ricariche per pochi minuti e con la “tassa” del 10% nell’effettuarla. Le persone hanno parlato, hanno scambiato quantità impressionanti di video e foto al punto di rischiare la paralisi dell’intero sistema con due picchi, uno a fine marzo e uno a Pasqua. C’è un inconveniente per chi sta ore e ore incollato al cellulare e al tablet e questo è il lato svantaggioso della tecnica domestica: si seguono le lezioni, ci si intrattiene per socializzare facendo crescere il tempo trascorso davanti ai piccoli schermi. Al di là delle questioni di carattere psicologico (per i più giovani mancano i vecchi giochi di cortile con gli amici), la comunità scientifica lancia l’allarme in quanto si moltiplicano casi di “sindrome da occhio secco”. Quando fissiamo lo schermo, le palpebre battono circa il 40% meno del normale con la conseguente maggior evaporazione del film lacrimale e la sua imperfetta distribuzione sul bulbo oculare. Tale sindrome un tempo apparteneva agli anziani, ma oggi colpisce una fascia sempre più giovane della popolazione. Applichiamo, se possiamo, la regola del 20-20-2: ogni 20 minuti di visione da vicino, sia seguita dallo sguardo fisso di un oggetto lontano per 20 secondi, poi battere e strizzare le palpebre per 2 secondi …