07.06.2020, La prossima Assemblea dei Soci

   Piace ai soci l’idea di svolgere all’aperto la prossima Assemblea generale dei Soci? Sarà una novità. Immaginiamo una piacevole serata di piena estate, da trascorrere seduti sulle gradinate del campetto, dove discuteremo dei nostri bilanci, delle iniziative e dei programmi. Le gradinate offrono un perfetto distanziamento, considerando poi che saremo all’aperto. La serata potrebbe finire in festa, fatte salve le disposizioni in vigore per garantire la sicurezza sanitaria di tutti. I conti sono pronti, ci sono molte tessere a disposizione dei rinnovi e dei nuovi iscritti. Fisseremo a breve la data, tenendo una in più quale riserva in caso di maltempo. L’Assemblea generale dei Soci è un appuntamento obbligatorio, previsto dallo Statuto. L’emergenza sanitaria ci ha costretti a cancellare la data di marzo. Numerose Pro loco del FVG hanno annullato l’Assemblea del 2020, ma noi abbiamo la struttura per poterla svolgere all’aperto, un sabato sera da trascorrere in compagnia. Buona domenica.

06.06.2020, Il maltempo di ieri

Il mondo intero ha celebrato ieri la Giornata internazionale dell’Ambiente, per salvaguardare il pianeta dal surriscaldamento e dagli eventi estremi. Quello di ieri, per quanto riguarda le Valli, lo possiamo considerare certamente un evento estremo perché la caduta di 230 litri di pioggia per metro quadrato in meno di 24 ore è da considerare come qualcosa di raro. Per tutta la notte di ieri la pioggia non ha dato tregua, cadendo abbondante e fitta. La rete idrografica delle Valli è stata messa a dura prova con episodi di crisi già riportati nella nostra cronaca di ieri. Cosa troverà l’impresa esecutrice dei lavori al Mulino, quando l’acqua del fiume si ritirerà, è ancora un mistero. Certamente non esisteranno i riporti di ghiaia utilizzati per il transito degli escavatori e per la posa dei grossi massi. Se il lavoro non fosse stato fatto, probabilmente al Mulino avremmo avuto danni ben superiori. La staccionata in legno è stata divelta, la ringhiera in ferro divelta dalla furia dell’acqua e il danno si ferma lì, oltre al presumibile “disastro”, all’interno, nella sala inferiore. Il Natisone era impressionante.

05.06.2020, Cappelli e fazzoletti da testa (2/2)

   Il fazzoletto era indossato sempre in ambito religioso e rappresentava anche una specie di demarcazione tra il sacro e il profano, ovvero per pudore, per evitare sguardi personali. Le donne erano le uniche ad avere il privilegio di poter frequentare la chiesa e partecipare ai riti religiosi a capo coperto, ovviamente non da cappello, ma con il fazzoletto, comportamento imposto dalla Chiesa già nel Duecento, mentre gli uomini erano tenuti a toglierselo per deferenza verso l’Altissimo. I fazzoletti delle nostre antiche paesane variavano per misura, per forma, per modalità d’uso e per tipo di stoffa. Generalmente andava in voga il tessuto nero, che rappresentava anche l’appartenenza della donna ad uno di quegli infiniti lutti, infatti le famiglie erano numerose e spesso le nostre nonne passavano da un lutto all’altro senza interruzione. Ce n’erano anche di raffinati con pizzi e ricami. Chi scrive questa notizia ricorda nonne che sempre e comunque hanno indossato il fazù. Qualcuno ricorda la Luzia, mamma di Luigino, la Nuta, la Celesta, la Felizita di Paolin, la Nadalia (fino a pochi anni fa), la Malia: immancabilmente con fazzoletto e per alcune anche nella bara.  

04.06.2020, Cappelli e fazzoletti da testa

   Fino agli anni ’50-’60 un paesano o una paesana non uscivano da case senza mettersi in testa il cappello, la berretta o il fazù, il fazzoletto da testa. Le immagini televisive tremolanti e in bianco e nero di quei tempi hanno ripreso immagini con uomini e donne indistintamente con il copricapo. Era un segno di rispetto e di eleganza. In ogni casa all’ingresso c’era un porta-abiti in legno, appeso alla parete dove si riponevano vari abiti, tra cui il cappello, che poteva essere da festa, da campo o stalla e da raccolto. Il fazzoletto da testa delle nostre nonne o bisnonne vanta forse una storia più lunga. Di importanza primaria rispetto allo scialle invernale, il fazù era l’elemento tradizionale del vestiario e che è stato anche l’ultimo a resistere. Il fazzoletto da testa richiamava l’antica usanza di proteggere, con un gesto istintivo, il capo per motivi pratici oltre che estetici come l’incanutimento delle ponteacchesi ancora giovani. Il fazù era indossato durante i lavori quotidiani, in casa o nei campi, per nascondere la capigliatura, per ripararsi dal sole, dal vento, dalla polvere…

03.06.2020, Ci vogliono più parole per rianimare la lingua

Un po’ di parole per rianimare la lingua

   Cerchiamo di non peccare di presunzione, ma il nostro sito fa il possibile per curare e difendere con tutti i mezzi la lingua italiana, un patrimonio di inestimabile valore. Siamo un po’ i “cultori” -perdonateci- della forma, delle espressioni il più possibili corrette, anche se siamo consapevoli che c’è ancora molto da fare. La lingua italiana si va rinsecchendo: i giovani utilizzano un vocabolario limitato e da parte loro sembra si stia perdendo il gusto di una lingua come la nostra, ricca di sfumature espressive, se le si conosce. Con la lingua italiana si può esprimere tutto, esistono termini appropriati esatti e con un’infinità di sinonimi. Basta conoscerli e utilizzarli.  Cercando su Internet, alla voce “Quante parole conoscono i giovani d’oggi?”, si può rimanere davvero sorpresi. Se nel 1976 i ragazzi ne conoscevano 6-700, oggi difficilmente ne utilizzano più di 300 e conoscono forse il significato di altre cento. E pensare che il patrimonio lessicale italiano si aggira sui 215.000-270.000 lessemi (unità di parola con significato), usarne solo 300 è un colossale e drammatico ritorno al passato, all’analfabetismo di ritorno. Si legge poco o niente, si scrive male e in forme concise, predominano parole straniere, le forme e i sentimenti sono spesso descritti con le “emoticon”. È un vero peccato, un impoverimento che va combattuto con la buona lettura, con la ricerca dei significati delle parole sconosciute, con la ricerca di sinonimi e contrari.

02.06.2020, La riunione del Consiglio direttivo di ieri

   Dopo molte settimane, il Consiglio direttivo della Pro loco si è riunito ieri sera. Sono stati affrontati numerosi argomenti  riguardanti la vita della Pro Loco. Si tratta di prossime iniziative solo delineate, poiché è necessario seguire l’evolversi delle disposizioni. Non c’è dunque una data prestabilita, ma una serie di eventi che potrebbero essere realizzati nel corso dei prossimi mesi. Tra questi spiccano due: 1. L’inaugurazione e la presentazione dei lavori al Mulino con importanti novità estetiche e funzionali, da svolgere entro la prima decade di luglio. 2. L’Assemblea generale dei Soci che potrebbe svolgersi un sabato sera di fine-luglio o inizio-agosto, all’aperto sfruttando le gradinate che garantiranno la giusta distanza tra le persone. Non si effettuerà il torneo di pallavolo e c’è un punto di domanda sulla IV d’Agosto. La serata è proseguita con un ampio dibattito in cui si è discusso di sicurezza del sentiero soprattutto all’altezza dell’intersezione con la strada statale. Sono stati stabiliti i prossimi turni. Dal punto di vista contabile sono state accertate le buone condizioni economiche della Pro Loco, nonostante i tre mesi di chiusura del Centro. Rimangono ancora numerose le tessere che attendono il rinnovo o la nuova iscrizione. A questo proposito lanciamo un appello ai soci, ai simpatizzanti: rinnovate o sottoscrivete l’adesione alla nostra Pro Loco. Si tratta di ossigeno per le nostre entrate poiché le spese di gestione sono fisse. La prossima riunione si svolgerà poco prima delle manifestazioni sopra annunciate.

01.06.2020, Ieri e oggi al Centro

   La seconda domenica di apertura dopo 3 mesi di chiusura forzata ha riportato l’ottimismo tra i soci, non molti a dire il vero, comunque sufficienti per creare una domenica vivace. Lorenzo ha portato a termine il suo turno che si è concluso poco dopo le 13:00. Molta gente lungo la ciclo-pedonale, mentre il perdurare della chiusura dell’accesso alla Slovenia sta limitando anche il traffico. Le bici superano Stupizza per poi fare il dietrofront. Stasera alle 20:30 si riunirà il Consiglio direttivo e domani illustreremo i punti salienti del dibattito. Discuteremo di apertura della nuova stagione turistica che dipenderà dallo smantellamento del cantiere  impegnato nella costruzione di un tratto di argine. Domani il Centro rimarrà chiuso e prossimamente pubblicheremo il nominativo dei prossimi turnisti. Auguriamo una buona settimana, la prima di giugno.

31.05.2020, Ciò che non ricordiamo della Grande Guerra (4/4).

   La follia assumeva varie forme: alcuni dei nostri perdevano la parola, altri erano atterriti da continue e terrificanti allucinazioni. Per i comandanti si trattava di rari episodi ascrivibili al DNA della famiglia, aspetto senza alcun riscontro. Gli scienziati definirono la malattia mentale dei nostri soldati come “regresso dell’infanzia”. I nostri militari che ne soffrivano sembravano essere tornati alla fase infantile: si esprimevano attraverso un linguaggio limitato a 100-200 parole, non sapevano mangiare da soli, si sbrodolavano, passavano la notte a piangere, a invocare la mamma, la moglie, la fidanzata. Per fortuna c’era diserzione, molti specie nel goriziano (fatto sconosciuto dalla storiografia) preferivano passare dalla parte del nemico-imposto. Intanto le Valli erano saccheggiate da militari che picchiavano gli anziani, svuotavano stalle e porcili. A guerra finita, i mutilati dovettero faticare sette camicie per aver riconosciuta una qualche indennità, mentre i malati mentali furono rinchiusi in manicomio a UD o GO, proprio dalle famiglie che non erano in grado di gestirli. Disperazione, morte, terrore, fame, insensata superficialità, piacere nel procurare sofferenze. Una Grande Guerra davvero, che ha tutti i nomi e cognomi dei responsabili.      

30.05.2020, Ciò che non ricordiamo della Grande Guerra (3/4).

I nostri valligiani erano assaliti da pensieri negativi, dal terrore, dalla nostalgia di casa, dall’incertezza, dall’angoscia e su tutti questi sentimenti c’era la fame, il freddo, la stanchezza stratificata. Nulla fu fatto dai comandi romani per alleviare le sofferenze dei nostri bis-trisnonni. Queste sensazioni iniziarono a fare i conti con il male oscuro, la follia. Lo squilibrio dilagò e colpì tutti indistintamente e indipendentemente dalla nazione di provenienza. I vari Diaz e Cadorna, ai quali oggi sono addirittura dedicate vie, caserme, piazze, scuole e bar, si distinsero per la loro lungimiranza: costruirono manicomi da campo per ricoverare i malati e rispedirli quanto prima al fronte, magari con una dose aggiuntiva di cordiale. Il falso-malato, se scoperto a simulare qualsivoglia malattia nella speranza di tornare a casa, era passato subito per le armi dopo un processo veloce, sommario e simbolico. Alcuni diari, certamente poco noti e nascosti per “amor patrio” descrivono pazienti che vagano nel buio, ombre del Purgatorio, la lingua a penzoloni da mascelle che sbavavano la brodaglia appena mangiata, scoprendo denti impressionanti.

29.05.2020, Ciò che non ricordiamo della Grande Guerra (2/4).

I militari prima di essere arruolati, erano persone semplici, senza pretese: contadini, artigiani, sarti, operai, ma bastò poco per farli rendere conto che i loro ideali si sarebbero infranti, che nulla si sarebbe risolto né gloriosamente, né velocemente. Fu una trappola perché la fine del conflitto era lontana e le condizioni di vita infernali e di questo fatto i Savoya –sciagura d’Italia-, responsabili, non pagarono affatto il loro conto. Altroché guerra-lampo, bensì guerra di logoramento, che ha coinvolto centinaia e centinaia di valligiani. Nelle trincee i nostri soldati vivevano tra i pidocchi, topi, escrementi, vicini a corpi dilaniati dei compagni falciati dalle schegge delle granate. Erano malvestiti, avevano addosso sempre gli stessi –definiamoli- abiti, spesso bagnati fradici. I piedi erano quasi incancreniti perché sempre, tutto il giorno immersi nell’acqua putrida. Dopo gli assalti, tra le rispettive trincee distanti anche poche decine di metri e separate dal filo spinato, giacevano i feriti, recuperati se ancora vivi, durante la notte.