La seconda parte della sala dell’osteria era forse la più bella, la privilegiata perché le due finestre si aprivano sulla piazza e si poteva osservare tutto il movimento che avveniva in paese. I due tavolini vicino alle finestre erano strategici. L’osteria aveva un odore tipico, che mai più si è ripetuto, un misto di varechina e un mix di fumo di tabacchi. Durante i mesi estivi dal soffitto pendevano due strisce cattura-mosche ricoperte di un adesivo appiccicoso che tratteneva gli insetti. Diana era coadiuvata da Bepo Onesti, persona corretta e rispettata, che la difendeva a spada tratta da ubriachi o provocatori. Il WC dell’osteria era nel caseggiato di fronte all’ingresso, a sinistra. Appariva come un lungo corridoio con in fondo un buco centrale, due mattoni pieni cementati dove appoggiare i piedi e alla parete a sinistra un chiodo con i fogli di giornale, antesignani di ciò che oggi sono i 10 piani di morbidezza. Verso la fine gli anni ’60 l’osteria di trasferì nella grande casa di Emaz e della Gemma, acquistata da Mon di Montefosca …
30.06.2022, Breve storia delle osterie del paese: Gorìza (1/3)
Chiamiamola così per definizione storica, non per un nome consolidato nel tempo. Il locale dove per decenni si è svolta l’attività di somministrazione, oggi appartiene alla famiglia Santo. Ci siamo occupati anche in passato di quest’osteria, ma con il trascorrere del tempo ci giungono aggiornamenti che vale la pena integrare. Il primo gestore dell’osteria, che oramai in pochissimi oggi ricordano, fu una signora del paese molto avanti con gli anni. La ricordano come vecchissima e chissà se avrà avuto sì e no 60 anni. Negli anni della II Guerra mondiale l’attività passò alla Ilva, poi per molto tempo a Diana, fino al trasferimento dell’attività nella grande casa che divenne la sede fissa dell’osteria del paese. Il locale gestito da Diana era costituito da una sala d’ingresso con un bel banco ad angolo circolare in pietra. C’era la macchina del caffè, varie bibite esposte e una specie di tabernacolo dov’erano custodite le sigarette “n” (Nazionali, pacchetto bianco con la lettera di colore blu su rettangolo azzurro), le Alfa (pacchetto rosso con triangolo isoscele bianco e la scritta “Alfa”), le nazionali da esportazione (pacchetto verde con ovale bianco e una nave con vele spiegate e la scritta “esportazione”), le Peer e le Diana (pacchetto bianco con righine orizzontali) che per i bambini del tempo costituivano una divertente coincidenza: Diana le sigarette, Diana la signora che le vendeva. Anche sciolte …
29.06.2022, Breve storia delle osterie del paese: il CRAL (2/2)
Il CRAL di casa Cornelio ha lasciato una traccia profonda nella storia del paese. Per anni è stato un luogo di ritrovo alternativo alla vecchia osteria della Gorìza. Era gestito da Amelia, mamma di Roberto e Giuliano. Anche in questo caso si trattava di un luogo piuttosto austero ed essenziale. Era collocato a sinistra dell’ingresso, in una grande sala con due finestre a ovest, due a sud e due porte, una per gli avventori e una di servizio, quasi comunicante con la cantina. C’erano almeno dieci tavolini per una quarantina di sedie in totale. L’ambiente aveva un aspetto “soffuso”, molto fresco d’estate considerato che l’edificio è in pietra; in fondo alla sala c’era il banco dotato di acquaio e alla parete un orologio a pendolo. La scelta di bevande, viste le migliorate condizioni economiche, era sempre più ampia. Oltre al vino e alla birra, c’erano l’aranciata, la spuma e negli ultimi tempi anche la “gazzosa” o l’acqua brillante. Il CRAL della famiglia Cornelio chiuse l’attività agli inizi degli anni ’60. Stava per concretizzarsi il futuro di un’importante impresa di autotrasporti che richiedeva maggiori spazi nello svolgimento del lavoro. L’edificio dell’attuale proprietario, Marcello, ancor oggi dalla maggior parte dei paesani è identificato come “Cral”.
28.06.2022, Breve storia delle osterie del paese: il CRAL (1/2)
I CRAL hanno fatto la loro storia. Istituiti dopo la II Guerra mondiale, avevano lo scopo di fungere da polo ricreativo per i lavoratori. In quegli anni la cava di marna di Ponteacco assicurava ancora numerosi posti di lavoro e, considerato il regime fiscale particolarmente agevolato e semplificato, anche in paese fu aperto un CRAL, Circolo ricreativo assistenziale lavoratori. La caratteristica di questi luoghi di svago era data dalla sobrietà dei locali, dall’essenzialità del servizio. Il primo CRAL del paese fu aperto in casa Tuzzi, gestito dalla Pina Tùzuka, quando il marito era emigrato per un certo periodo in Francia. All’ingresso, a destra, c’era l’unica stanza destinata al circolo. Appariva dotata di due finestre, aveva il pavimento in cemento con piccoli buchetti quadrati, così come si usava in quei tempi. C’erano sei tavolini e 24 sedie, alle pareti una foto di Bepic da giovane, il calendario dei f.lli Piccoli di Cividale e il calendario con i numeri “a rotellina” della birra Moretti. Non c’era il banco e il servizio avveniva su ordinazione e con breve attesa al tavolino. Il CRAL era assai frequentato la domenica, quando si svolgevano lunghe partite e campionati di bocce. Successivamente l’attività ricreativa su ceduta alla famiglia Cornelio, casa a fianco, che ancor oggi è conosciuta con il nome “CRAL”.
27.06.2022, Ieri al Centro
Quella di ieri non è stata la domenica dei record, ma di un discreto via-vai di soci. Il turno di Marzia e Tonino è sempre gestito con cura e simpatia. La calda domenica ha favorito l’esodo e il paese era insolitamente più che tranquillo. Ci sono alcune persone in vacanza, altre invece sono tornate dalla vacanza. L’attrazione della giornata festiva di ieri è stato il Natisone con la presenza di molta gente al Muz, al Mulino, a Biarzo e in altri punti di richiamo. La settimana che inizia oggi ci porta in luglio. Saranno giorni caldi, forse con un acquazzone domani pomeriggio-sera. Salutiamo le lettrici e i lettori, con l’augurio di belle giornate di serenità.
26.06.2022, Breve storia delle osterie: Osteria Pocovaz (2/2)
L’osteria Pocovaz, proprio “tà na ziast” (sulla strada), era un’attività a conduzione familiare piuttosto vivace. Si svolgevano piccoli campionati di bocce, di carte e una o due volte all’anno anche la festa con il ballo. Il “brejàr” (pista) era collocato di fronte al locale, dove oggi c’è il piccolo prato adiacente al campetto da calcio. Non ci è nota la provenienza della struttura in legno, ma al tempo era considerata particolarmente precisa negli incastri che permettevano lo svolgimento dei balli senza inciampi o slogature. Nel giardino c’era una ricca pergola di vite, per la sosta dei clienti … all’ombra, che in trevigiano è il “tajùt”. Il locale, come tutti del resto, aveva il proprio “cagadôr” (francesismo utilizzato per intendere “WC”), collocato non proprio vicino all’abitazione, ma a una ventina di metri, troppa per i pigri che di notte facevano pipì, complice l’assenza di illuminazione pubblica, contro il muro dell’abitazione vicina il cui proprietario stanco di vedere il proprio muro sempre bagnato e maleodorante, decise di costruire un piccolo muretto di separazione tra le due case. Dopo la scomparsa di Tonza, il locale passò in gestione alla figlia Maria e suo marito, Carmelo, che aveva problemi di deambulazione. Posizionò a metà altezza del muretto due pietre piatte a mo’ di davanzale. Si appoggiava lì ed era il miglior posto per arrotolare il tabacco nella cartina.
25.06.2022, Breve storia delle osterie del paese: Osteria Pocovaz (1/2)
Tonza Pocovaz, classe 1879, aveva uno spiccato senso per gli affari. Viste le condizioni economiche del tempo, non si trattava di grandi transazioni o clamorose compravendite, ma quando bastava per garantire alla famiglia un buon tenore di vita. Decise di aprire la prima osteria del paese, proprio nella casa in cui oggi abita Mabira della quale era il bisnonno. Il locale adibito alla mescita si sviluppava al piano terra, su tre stanze comunicanti tra loro, dotate di tavolini e sedie impagliate: la prima era quella d'”impatto”, la seconda era più piccolina, mentre la terza era destinata agli ospiti di riguardo. Il gestore e la famiglia utilizzavano lo spazio a destra dell’ingresso, dove si trovava la cucina. L’osteria non aveva un banco vero e proprio: si serviva principalmente il vino, attinto da bottiglioni riempiti in cantina, giù per ripide scale, poi era servito in caraffe di vetro di cui ci siamo occupati nelle “news” di ieri. Il locale aveva un bel giardino con ben due campi destinati al gioco delle bocce. L’osteria era sempre frequentata, non solo dai numerosi paesani del tempo, ma anche da chi si fermava lungo la strada statale, oppure utilizzava stazione del treno, lì a pochi metri …
24.06.2022, Breve storia del “beverage” locale (2/2)
Nell’osteria del paese si somministrava principalmente (o quasi solo) vino, servito non in bottiglia, ma in caraffe dal vetro trasparente. Tutte le osterie possedevano i recipienti da mescita, dall’ottavo ai due litri, che ogni anno dovevano essere tarati in Comune. Il “tubo” era da 1 litro, la foglietta da mezzo litro, il quartino, il chirichetto -scritto così- da un quinto e il sospiro da un decimo (ombra nel trevigiano, tajùt in Friuli, tàj da noi). Solo a cavallo degli anni ’50 e ’60 comparve in bar, dalla Diana, la macchina del caffè costituita dal tipico braccetto porta filtro a un beccuccio e da una leva in posizione verticale, lunga circa mezzo metro. L’operatrice imbracciava la leva tirandola verso il basso, la rilasciava in modo che un sistema di molle comprimessero l’acqua bollente da cui poi fuorusciva goccia a goccia il caffè. Non mancava la grappa, il vermut e la marsala, mentre i ragazzini potevano consolarsi con la spuma arrivata negli anni ’60 o con l’aranciata Recoaro contenuta in piccole bottigliette di vetro zigrinato. La birra era diffusa. Si beveva soprattutto la Moretti che sponsorizzava il proprio prodotto con il famoso nonno dai lunghi baffi, ritratto sui calendari con il datario a rotelline per i giorni e la settimana. Prima della ditta Enovalli, la distribuzione dal dopoguerra era effettuata dalla ditta Piccoli di Vernasso che provvedeva a rifornire tutte le osterie del territorio. Aveva un magazzino negli scantinati dell’ex-macelleria Beuzer e un altro vicino all’edicola. Vedremo da vicino la storia delle osterie del nostro paese, iniziando da quella del bisnonno di Mabira, Tonza, anni ’30.
23.06.2022, Breve storia del “beverage” locale (1/2)
I supermercati dedicano molta attenzione al reparto bibite, vini e liquori, con corsie specificamente riservate a questi prodotti. Si tratta di un’autentica esposizione di birre dalle grandi alle piccole marche, di centinaia di liquori, di una rassegna-vini che va dal prodotto in tetrapack con rubinetto, fino alle bottiglie da collezionista. Non parliamo del reparto acque minerali, dove siamo conosciuti in mezzo mondo per l’elevato consumo pro-capite. Le corsie dedicano molto spazio alle bibite gassate, non gassate, fatte con frutti esotici, spesso colorate con enzimi dalla dubbia provenienza naturale, ai succhi di frutta confezionati in ogni forma possibile. C’è poi il the suddiviso in classico, alla menta, alla pesca, light, estathè, invernthè e chi più ne ha, più ne metta. Chiudono la rassegna gli aperitivi come l’aperol, il crodino, il gingerino. Passando lungo le corsie con il carrello, ci siamo mai chiesti quali fossero i prodotti disponibili una cinquantina d’anni fa? Il confronto è impietoso. L’acqua minerale frizzante è comparsa nei nostri negozi agli inizi degli anni ’70 e raccontare questa notizia alle nuove generazioni è motivo di scherno nei confronti dei meno giovani. In negozio erano disponibili le bustine di Idrolitina, che si versavano in bottiglie di vetro con tappo ermetico. La reazione del bicarbonato dava una certa effervescenza e anche una leggera salatura all’acqua. Era considerata dai ragazzi “buonissima”, quest’acqua minerale fai da te …
22.06.2022, La carne alla griglia fa bene? Fa male? (2/2)
La cottura indiretta o a convenzione è lunga e delicata, perfetta per cuocere fino al cuore della carne e i “griller” sostengono che non è adatta alla fiorentina. Esiste anche la cottura nell’affumicatore per ottenere cibi saporiti grazie a legnetti aromatici che, bruciando lentamente, sprigionano del fumo profumato il quale è assorbito dalla carne. In questi ultimi anni numerose persone hanno gustato la carne, le patate e i peperoni cotti assieme nel “sač” bosniaco o croato. Si tratta di una padella larga anche mezzo metro, munita di identico coperchio. Riempita di alimenti, la si copre con molta brace e la cottura si raggiunge con il microclima che si genera all’interno, senza pericolo di bruciatura della carne. Per proteggere la salute di noi consumatori è necessario evitare temperature di cottura elevate. In questo caso, infatti, la bruciatura della carne dà inizio a reazioni chimiche complesse. A molte persone piace la carne ben cotta, ma è da prestare attenzione perché la carne bruciacchiata dà vita anche a composti cancerogeni come l’acrilammide, deleterio per stomaco, fegato e pancreas. Suggeriamo dunque una buona carne aromatica, anche se cotta in più tempo del previsto, senza farci correre rischi per la salute.