21.09.2023, Consommé blues (di F.S., 2/3)

Il Padreterno non rilascia certificati. Nella quiete che segue la baldoria ci era venuta voglia di

cantare, il motore procedeva al minimo per via del riscaldamento e i vetri appannati al buio

riflettevano i nostri profili e il cruscotto illuminato. L’umidità si raccoglieva con il mestolo e se ci

fossero state due rane a sgolarsi con noi non avrebbero sorpreso. All’improvviso, sotto

l’impermeabile che ci copriva, è uscito il suo braccio nudo fino al gomito e con il dito ha scritto sul

parabrezza ‘La felicità esiste, basta solo farci caso’, e ‘caso’ sconfinava sul vetro del finestrino e il

finestrino si affacciava sul Paradiso. Ho guardato lei, il suo gomito, il parabrezza, il cruscotto

illuminato, le rane non c’erano, quindi ancora lei. In quel momento avrei voluto scrivere ‘Se non

si è onesti con se stessi, prima o poi si finisce per essere disonesti con tutti’, troppo lungo per lo

spazio rimasto libero sui vetri. Infine era meglio evitare, leggere la sintesi della sua biografia non

l’avrebbe divertita. Invece ho messo in giro la voce: “Ho paura di essermi innamorato di te”. “Non

vedo la ragione”. “Non vedi la ragione per avere paura?” “Non vedo la ragione per dirmelo. Non ti

ho chiesto niente”. “Niente non è voce del verbo amare”, una frase fuori di cometa che non capirò

mai, nemmeno se un filosofo bravo me la spiegasse bene. Dopo una pausa si è lasciata andare:

“Sono come mi avevi immaginata?” Sono stato zitto a malincuore, ma mi ha fatto venire in mente

aggettivi di poetica descrittiva che non è il caso di ripetere. Infine mi ha confessato del suo ex. Lo

aveva rivisto con fastidio, diceva, ed era rimasta incinta. Ero disorientato. “Incinta?”, “Sì, incinta”.

“Come incinta?”, “Nel solito modo. Non ti preoccupare, un falso allarme. Ci avevi creduto?”. Ha

avuto scatti di riso sguaiato: si divertiva cercando la complicità che consola. Sotto casa sua mi ha

stretto il braccio e mi ha chiamato per nome: “Un giorno mi accorgerò che non sei quello giusto”,

ha pronosticato. “Quando succederà dimmelo. Se dovessi capirlo da solo soffrirei di più”. Non me

l’avrebbe mai detto, neanche sotto tortura. “Spero di rivederti presto”. “Può darsi. Intanto goditi

la vita”, e più che una risposta priva di passione sembrava una raccomandazione rivolta a chi sta

andando in pensione. Dimostrava sicurezza, il tipo che non aveva bisogno di nessuno. Avevo

sonno, nausea e già un preciso presentimento. Sono tornato casa e salendo al piano ho vomitato

nell’ascensore.

20.09.2023, Consommé blues (di F.S., 1/3)

Chi lo fa nuotando, chi correndo, chi in palestra. Io il fiato l’ho fatto in una vecchia 500. Era inizio

primavera, scambiata per la coda dell’inverno. Un vento freddo da miserere e un cielo sporco da

kyrie accompagnavano una giornata mesta da requiem. Con queste premesse non c’è simpatia

che tenga. E per una storia di grandi pretese, con molte proroghe e una revoca, la sofferenza

presenta un conto salato che non si paga in nero. E così mi sono ritrovato solo e antipatico a

chiedermi perché ci si innamora di una persona sbagliata. La causa aveva carnagione spalmata,

fredda e fatata, capelli soffici e in disordine. Il naso snello e dritto e una bocca afrodisiaca che mi

tempestava le tempie e mi bruciava i grassi in eccesso. Gli occhi erano difficili da sfogliare: un

libro con pagine corrette, da riscrivere. Mi ero fatta l’idea che fosse irraggiungibile e scontrosa

perché diceva di no! ogni volta, anche prima di aver sentito la domanda. Era una barista sotto

sorveglianza e quelli informati parlavano di una esperta in passaggi di proprietà, con discreta

esperienza in motorini e biciclette e più tardi in portafogli. Aveva un vantaggio, se si può dire:

dalle nostre parti era pressoché sconosciuta, tranne per quelli che lavoravano in questura. “Vengo

con te solo se la tua macchina ha l’idromassaggio”. Sono andato a prenderla al bar dove lavorava

con il timore che mi chiedesse il 730. Ci siamo appartati in riva al fiume e accomodati, nei limiti

concessi dalla vecchia 500. “Sembra di stare in una scarpiera”, le è sfuggito. Poi ha tirato fuori

una bottiglia di spumante e l’ha stappata senza dire cosa dovessimo festeggiare. A vederla bere

faceva venire sete a chiunque, astemi compresi. Il motore girava al minimo, lei era su di giri e io

insistevo nel pagare il bollo per una scarpiera. All’inizio poteva apparire svampita, invece a

conoscerla rivelava una sua profondità tutta da scoprire. “Sei stata mai felice?” “Quando ho

potuto. Nella mia vita ci sono sempre motivi per non esserlo. Non chiedermelo più”. Scorgevo

tracce di cinismo e rancori nella scia malinconica in cui per un attimo si era persa. “Non lo

dimenticherò”, ho approvato sottovoce. “Dimenticherò è voce del verbo abbandonare”, ha detto

ambiguamente. La leggerezza del debutto era persa, ma eravamo giovani e scemi e sulla sua

scontrosità avevo cambiato idea. Con intima spiritualità le ho carezzato i capelli e lei, con intima

spiritualità, mi ha preso la mano per posarla sui suoi fianchi. Sapeva di lavanda e di Moscato.

19.09.2023, La cartolina è davvero tramontata?

Non c’è ponteacchese che non abbia inviato o ricevuto una cartolina. Panorami aerei senza drone di città, montagne, laghi. Quella delle vecchie cartoline, anche in bianco e nero, è una realtà che non c’è più. Il mercato di quei simpatici cartoncini è in progressivo easurimento. Pensiamo che in Italia fino al 2000 se ne stampavano 400 milioni, ridotte oggi a 40 milioni. «Saluti e baci da Sappada, da Milano o da Monaco», imbucata con la speranza che non vada persa, oggi tutto è soppiantato dalla foto scattata con il telefonino e inviata con WhatsApp. Le cartoline ancora si vendono: ci sono gli irriducibili, i collezionisti, ma è poco rispetto a un tempo. Se andiamo a vedere, anche il semplice francobollo non esiste più in posta e si fa fatica a trovarlo nei tabacchini. Ora le vecchie foto sono disponibili in siti in abbonamento. Gli stampatori sostengono che è antieconomico produrre meno di mille pezzi, diventati oggi un’enormità da distribuire. Peccato! Nei selfie non si possono aggiungere le firme di decine di amici. La cartolina rimarrà nel cuore di tutti perchè un conto è ricevere una foto, un conto la cartolina, considerando anche il fatto che il postino oggi ci consegna solo documenti da pagare.

18.09.2023, Ieri al Centro

Enzo e Savina si sono resi disponibili ancora una volta per svolgere, con la loro consueta simpatia, il turno della domenica e una mano l’hanno ricevuta dalla figlia Federica. Li ringraziamo con riconoscenza. Numerosi erano i soci presenti, al punto di costituire una tavolata di “tedeschi”, persone nostre che risiedono in Germania. Sono state rinnovate alcune tessere. Protagonisti della domenica sono stati JM e Daniela. Domani partono per il Belgio, per rientrare a casa dopo oltre due mesi di permanenza a Ponteacco. La Pro Loco li ha salutati con un sentito applauso, augurando loro buon viaggio, ringraziandoli per la compagnia e la collaborazione e invitandoli nuovamente il prossimo anno, all’inizio dell’estate. Sono stati festeggiati i compleanni di due soci con un giro di brindisi e assaggi di ossocollo. La domenica è terminataalle m13:00 per poi lasciare il Centro agli ospiti di un compleanno. Auguriamo una buona settimana.

17.09.2023, Il brodo della domenica

La “župa”, il brodo della domenica per decenni e decenni, forse per secoli, è stata un’autentica istituzione alimentare del nostro paese e più in generale del nostro territorio. Oggi è soppiantata da troppi primi asciutti, tra questi la pasta che a detta dei nutrizionisti non è che faccia tanto bene. Il brodo raccoglieva a tavola l’intera famiglia, a mezzogiorno, non molto tempo dopo la messa. La capace pentola permetteva di fare spesso il bis e il sapore dell’alimento era esaltato da tanti ingredienti che solo le nonne sapevano misurare. Ora si corregge tutto con un cucchiaino di “Vegeta” o di “Dialbrodo”. Naturalmente c’era la carne inserita nel lonaz, nel tegame, che nei tempi di magra era costituita da parti di gallina, con le migliorate disponibilità economiche, invece, di manzo con osso. La carne in umido ottenuta costituiva il secondo piatto, accompagnata da patate e radicchio condito con gli ozvìarki. In numerose case del paese questo menu non è cambiato e costituisce la santificazione della domenica. Come oggi, giornata che auguriamo positiva a lettrici e lettori.

16.09.2023, Il Sole e le tempeste di vento

Nella nostra rubrica “Curiosità” ci occupiamo anche di Sole, delle macchie in evoluzione, prendiamo atto dei comunicato SILSO/SIDC, eppure ci è sfuggito un fenomeno accaduto a mezzanotte del 5 e del 7 agosto quando due violente eruzioni solari hanno provocato una tempesta geomagnetica che ha disturbato i segnali radio e la navigazione satellitare, patrimonio di tutti noi. Il prossimo anno la nostra stella vivrà momenti turbolenti, poiché raggiungerà il picco del suo ciclo d’attività per cui si intensificheranno la formazione di macchie solari e i brillamenti che alimentano le tempeste solari. La dinamica di questi fenomeni è ancora oggetto di studio degli scienziati della meteorologia spaziale. Il vento solare è la corrente di particelle espulsa dalla corona, la parte più esterna della superficie solare. Disturba i campi magnetici danneggiando le apparecchiature tecnologiche in orbita all’esterno della nostra atmosfera. Sarà un’impresa esporsi al sole della montagna, delle Valli e del mare il prossimo anno! I capricci della nostra stella … bruciano.

15.09.2023, Le tagliatelle fatte in casa

Ovunque nel mondo, dove esiste farina e acqua, da sempre ci sono anche le tagliatelle, l’alimento più comune che ci sia al mondo. Nessun Paese può vantare la paternità di questo importante elemento della cucina perché è come sostenere di essere l’inventore dell’acqua. Nella Mitteleuropa, poi, le tagliatelle fanno la parte del leone, ancor oggi utilizzate per guarnire piatti di spezzatino. Anche da noi era usanza stendere la pasta, arrotolarla e tagliare fettine sottili “a salame”, da immergere soprattutto nelle minestre di cui ci siamo occupati ieri. Le nostre nonne preparavano una pasta forse grossolana, piuttosto spessa, ma certamente carica di tutto il sapore sprigionato dal grano. Abbiamo trovato un’antica ricetta fiorentina riconducibile probabilmente a messer Lodovico Ariosto, risalente al 14 febbraio 1548, ultimo giorno di Carnevale, che indicava gli ingredienti delle prime tagliatelle toscane: «Pijja tre scutelle di farina bianca, e uova tre, è fa’ la tua pasta un poco molle. E poi tira con una spoglia longa e stretta e sottile fin che puoi. Arotolala e taglia più sotil che puoi» (dal ricettario “La Cassaria”). Proprio come facevano le nostre nonne.

14.09.2023, Le nostre minestre (2/2)

Il menù riguardante le minestre, come scrivevamo ieri, era piuttosto vario. Dalla tradizione mitteleuropea le nostre nonne preparavano la minestra di “braskvù”: nel lonaz (pentola) si inserivano le foglie esterne del cappuccio, si aggiungevano cubetti di spek e lardo. La pietanza aveva un vago sapore acidulo e la sera era molto apprezzata con la polenta. L’ičmenova kuhnja, la minestra d’orzo, era un piatto davvero squisito e i commensali raramente si fermavano davanti a una sola portata. Questo primo piatto ha avuto recentemente una forte rivalutazione ed è inserito in molti menù di ristoranti anche affermati. Tajadeje (tagliatelle fatte in casa) e fagioli rappresentano un classico della nostra cucina, un invenzione dei nostri territori. La minestra era sempre accompagnata da una generosa fetta di spek. La carrellata prosegue con la minestra di brovada, piuttosto acida e apprezzata dalle persone più anziane. Uno tra i primi liquidi più sgraditi ai bambini era invece la panada: pane raffermo cotto in una specie di brodo. Comprensibilmente non piaceva ai ragazzi per il suo sapore piatto e inconsistente. La domenica la parola d’ordine era “brodo” di gallina o con un osso e una misurata quantità di carne, un pezzo di muscolo per chi se lo poteva permettere. Le minestre costituivano il pasto principale degli sfalciatori in montagna, raggiunti sul posto esattamente a mezzogiorno da una persona della famiglia, con pane, formaggio, pentolone, piatti e cucchiaio. Possiamo concludere che la minestra ha avuto un ruolo importantissimo nella crescita delle generazioni, specie del passato. Per fortuna la tradizione non è persa e i recenti consumi di Friuli DOC lo dimostrano.

13.09.2023, Le nostre minestre (1/2)

Hanno rivestito un ruolo fondamentale nella nostra alimentazione. Tutt’oggi si tratta di un piatto gradito, nonostante l’assalto imperante di primi asciutti. Il termine “minestra” è molto antico e si trova scritto sin dal ‘200. Deriva dal latino “minestrare”, che vuol dire somministrare e anche servire a tavola. Questa parola ha assunto nel tempo un significato un po’ deteriore, anche perché spesso sinonimo di brodaglie senza alternativa. Sono nati così molti detti: “mangiare sempre la stessa minestra”, “mangiar questa minestra o saltare dalla finestra”, “un piatto di minestra non si nega a nessuno”. Il diminutivo minestrina si riferisce sempre a piatti in brodo leggeri, mentre l’accrescitivo minestrone indica una preparazione a base di verdure e pasta (tajadèje). Il termine “zuppa” è invece molto più recente (XV-XVI sec.) e deriva dalla voce gotica “suppa” che vuol dire “fetta inzuppata”. La sua preparazione è infatti costituita da pane (raffermo) immerso in un brodo di legumi e verdure. Fino agli anni ’60 e forse poco oltre, non c’era almeno un pasto senza minestra. Era cucinata in pentole di terracotta, spesso sorrette da una rete esterna e il profumo costituiva un carattere distintivo. L’alternanza di minestre non era poi così limitata, ovvero i gusti spaziavano dai gusti forti a quelli semplici, odiati soprattutto dai bambini. Domani passeremo in rassegna alcune minestre popolari, che tutt’oggi sono riproposte, specie le più saporite …

12.09.2023, La selvaggina

L’altro ieri prima domenica di caccia. Come abbiamo già scritto, si è trattato di un susseguirsi di colpi di fucile e per fortuna nessuno si è fatto male. Stando alla testimonianza dei cacciatori, mai c’è stata abbondanza di animali come in questi ultimi anni. I nostri boschi sono popolati da moltissimi animali che, grazie alla fitta vegetazione, hanno trovato il loro habitat. I cinghiali rimangono ancora confinati della macchia boschiva perché evidentemente trovato un’abbondante quantità di cibo, mentre costituiscono un autentico problema nella zona di Cemur, i cui campi sono ogni anno devastati dal “sus scrofa”. Se la prendono con un campo di patate e riescono a mangiarne quantità immense, dissotterrandole esattamente dove sono posizionate. Come sappiamo, i cinghiali sono noti per il temperamento aggressivo: qualora presi alla sprovvista o messi alle strette, infatti, questi animali, anche se feriti o debilitati, attaccano senza pensarci due volte, combattendo strenuamente e risultando molto pericolosi. Si tratta di animali dalle abitudini crepuscolari e notturne: durante il giorno riposano in buche scavate nel terreno.