29.04.2020, La “DAD” ha rivoluzionato i nostri tinelli.

   DAD? Uno dei mille acronimi della lingua italiana. Significa “Didattica A Distanza”, accorciativo neonato, come DPI (dispositivo di protezione), sigle che hanno colonizzato la nostra quotidianità. In paese abbiamo numerosi studenti sia della scuola primaria di primo e secondo grado, sia secondaria e dell’Università. Qualcuno festeggia lo scampato esame. Tutti con approcci diversi, tutti virtuali, tutti deflagranti dalla pandemia sono immersi nella DAD. Quando è stato preannunciato il non ritorno a scuola per questo disastrato anno scolastico, più di qualche genitore si è posto domande su come si prepareranno i giovani in un prossimo futuro fatto di capacità, di istruzione, di cultura, di competizione conoscitiva. La scuola è anche rigore, disciplina, una specie di calendario che scandisce le vite di molte famiglie. È la misura del tempo, della civiltà, dei diritti, della democrazia. Senza essa, tutti ci sentiamo più poveri, smarriti, spaesati. Ora ci accorgiamo che mancano i fondamenti della società, un’assenza che ha generato una voragine impressionante. Il nostro pensiero va anche alle maestre del nostro circondario, molto impegnate nel preparare le lezioni in video, le schede, le correzioni con risposte personalizzate, le riunioni interclasse, i colloqui con i genitori. Insegnanti più impegnati ora che prima. E nelle case c’è la rivoluzione: due figli = due computer o smartphone, la stampante, l’invio dei compiti svolti. Mica tutti hanno la dimestichezza con una tecnologia così avanzata? Qualche genitore si compiace per il livello tecnologico raggiunto in casa. Ecco perché la DAD è sinonimo di rivoluzione. Anche dei tinelli.  

28.04.2020, Comunione sì, Comunione no?

   Il parroco è sconcertato. Sostiene che la sfera spirituale sia stata particolarmente “punita” dalle disposizioni legate alla prevenzione dell’epidemia. «Posso garantire non un metro di distanza da fedele a fedele, ma cinque metri quadrati per ogni singola persona che potrebbe assistere alla messa celebrata nella chiesa di San Pietro al Natisone. Eppure c’è il divieto», questo è quanto ci ha detto don Michele Zanon, sconsolato e perplesso perché la restrizione va oltre alla logica, perché al parroco non è riservata quell’autonomia di giudizio e di decisione su come far accedere i fedeli in chiesa. «Si vive alla giornata, si procede “a vista”, interpretando le norme e le richieste della CEI (Conferenza episcopale italiana)», ha aggiunto, confermando che l’appuntamento con il sacramento della Comunione previsto per fine maggio, è stato posticipato. Due sono le ragioni: la prima per la mancata preparazione dei comunicandi e la seconda per le prescrizioni relative alla frequentazione di cerimonie religiose. Se ne riparlerà per settembre, anche ci sono dubbi sulla fattibilità. Facilmente le prime Comunioni di quest’anno saranno celebrate nel 2021. Il catechismo è necessario e le canoniche non sono in grado di assicurare la debita distanza da persona a persona. Sulle opzioni c’è incertezza, la propensione è un bell’arrivederci al prossimo anno!    

27.04.2020, Ieri e l’altroieri a Ponteacco.

Due giorni di festa “sfumati” a causa dell’emergenza sanitaria. Sfumate con essi anche le occasioni di svago e di gita. La montagna, il mare, le gite in Europa sono rimandate a data da destinarsi. In paese c’è stato un po’ più di movimento, più gente a passeggio, anche sulla ciclo-pedonale Ponteacc-San Pietro, pur nell’ambito dei 500 metri da casa. Anche al Mulino c’è stata una sparuta presenza di visitatori, dove scorre in Natisone ridotto a rigagnolo a causa della prolungata siccità e della mancanza di neve in montagna. Lunedì prossimo riaprirà il nostro parco e campetto, nel rispetto della distanza di un metro tra una persona e l’altra e con l’obbligo di indossare la mascherina. Altre novità relative al nostro paese, a Tiglio e Mezzana al momento non ce ne sono. Auguriamo una bella settimana, con la pazienza di vedere rimandato al prossimo anno il ponte che sarebbe cominciato venerdì prossimo.

25.04.2020, Le Rogazioni di San Marco.

Prossimo aggiornamento: domani alle 07:00.

   Buon onomastico ai numerosi “Marco”, nome proprio di persona molto comune e con la particolarità di essere solo maschile. La giornata festiva ha doppia valenza: sia civile (75° anniversario della liberazione del nazifascismo che in Italia causò la morte di 1.800.000 persone), sia religiosa, dedicata a uno dei quattro evangelisti. Un tempo era il giorno delle Rogazioni, un appuntamento piuttosto atteso con la partecipazione di paesani e di numerose altre persone proveninienti da Biarzo e Sorzento. Consisteva nella processione delle croci, da Ponteacco a Tiglio, un percorso facile, piacevole, che partiva dalla cappella, procedeva lungo il sentiero sotto la casa di Enzo e Savina, si fermava alla cappelletta-edicola di San Gaetano e arrivava alla chiesa di Tiglio dove si celebrava la messa. Al termine della funzione, il sacerdote benediva le numerose croci spesso fatte in casa, che successivamente erano portate nei campi e si infilavano alle testate dei filari, dell’orto, del frutteto come benedizione propizia per il raccolto e difesa dello stesso dalle calamità. Si rientrava a casa, sempre a piedi, poco prima di mezzogiorno. Il 25 aprile era una bella giornata di festa, mentre quest’anno le restrizioni ci impongono di festeggiarla a casa.

24.04.2020, La polenta della Fighurina.

«Naš Perìn vija» (il nostro Perin sa). Diceva sempre così, riferendosi al marito, Milia soprannominata affettuosamente “Fighurina” per il suo fisico snello, ben proporzionato, elegante. Sono i nonni paterni di Marietto, che oggi abita proprio nella casa della nonna e utilizza quella cucina che ha fatto la storia della polenta del paese. Perin era specializzato nella costruzione dei fornelli in mattoni. Era sempre carico di lavoro, quindi nel complesso si parla di una famiglia benestante per quel il periodo. La preparazione della polenta, seppur povera di ingredienti, era un’autentica arte per la signora Milia. Per almeno nove mesi all’anno, apriva le due finestre della cucina, leggermente elevata rispetto al piano della strada e procedeva con la sua tecnica di cottura, che durava un’ora rispetto ai 40-45 minuti della norma di paese. E lo faceva con un quarto d’ora d’anticipo rispetto all’abitudine di mettersi a tavola, a mezzogiorno e alle 18:00. Aperte le finestre, in poco tempo si sprigionava in tutto il borgo della Gorìza un profumo irripetibile, indimenticabile, quello della polenta ben cotta. Spesso intorno alla sua casa, sulla piazzetta, si radunava un gruppo di bambini che attendeva con pazienza la distribuzione di un assaggio, una specie di piccolo antipasto prima del pranzo o della cena. Questa buona donna, ancora ricordata da tanti, era generosa, non ha mai detto di no. Chissà perché, ma anche le croste del suo kotù (paiolo) erano le più buone. Quelle che oggi si chiamano con termini altisonanti: “Fiocchi di mais”, che per Ponteacco corrispondevano ai “Fiocchi della Fighurina”.

23.04.2020, Donne picchiate.

   Anche il nostro paese annovera, nel suo piccolo, vicende di donne picchiate anche selvaggiamente dai mariti. Nomi e cognomi non se ne fanno, ma nel ricordo di molti ci sono episodi ancora ben presenti. Se poi andiamo a vedere, il delitto per causa d’onore, ovvero il delitto per cui l’uomo uccideva la donna per gelosia, è stato abolito solo nel 1981. Uccidere una donna perché faceva le corna (o si sospettava le facesse) era considerato un delitto minore, una cosuccia da un paio d’anni al massimo di galera, quanto oggi si dà a un modesto spacciatore di droga. In paese per fortuna non siamo mai arrivati a tali livelli. E fino al 1956 la medievale legislazione italiana (ci sono ancora leggi … regie!!!) riconosceva addirittura lo “jus corrigendi” che permetteva al marito il potere di “correggere” la moglie prendendola a sberloni, anche in pubblico. Fino al 1975 esisteva una legge che regolava i rapporti familiari: il marito poteva decidere dove stabilire la propria dimora e la moglie aveva l’obbligo di seguirlo. Non è medioevo, è l’altro ieri!

22.04.2020, Po ben!

   Era il simpatico e inconfondibile intercalare di Guido, il fabbro del paese che ha lasciato una traccia profonda nel costume, nelle abitudini, nel modo di dire degli abitanti. Ai bambini piccoli diceva: «Masanèto, vieni che ti metto nel sacco» e faceva un curioso gesto alternando velocemente il pollice e l’indice. Ma i bambini non lo temevano, anzi, suscitava in loro simpatia. L’intercalare storico di Guido era appunto “po ben”. Lo diceva sempre, a tutti, in tutte le situazioni. Un giorno in osteria (attuale casa Santo) Guido si trovò alle spalle del colonnello Doro che aveva la passione di “gettare” una partita a carte, seduto a uno dei due tavolini in fondo alla sala, vista-piazza, con i suoi restanti tre sfidanti. Guido si mise alle spalle di Dò ed a ogni mossa del gioco inconsapevolmente pronunciava il suo “Po ben, ah-po ben, oh-po ben”. Ad un certo punto il signor Doro si alzo di scatto e con il dito indice puntato al petto di Guido lo intimorì dicendo: “Ce na ghenjaš te ubijem!” (Se non la pianti ti faccio male).  

21.04.2020, Tifo, peste e colera.

   Secondo il farmacista e storico della medicina dott. Fornasaro, l’influenza spagnola del triennio 1918 causò nel cividalese e nelle Valli la morte di poco più di 400 persone. Una cifra importante, che forse fu responsabile di uno o più decessi anche in paese. La storia delle epidemie è molto lunga e la stessa parola ha origini greche grazie alla vittoria di questi sui persiani colpiti anzi, decimati, da una tra le più grandi dissenterie globali della storia. La peste nera uccise circa 20 milioni di persone nel 1348-1349 e la colpa fu data agli ebrei, che dovettero fuggire verso est, fondando quelle comunità che 800 anni dopo furono sterminate dai nazisti. Ma i “conquistadores” spagnoli furono i migliori in fatto di propagazione di infezioni: vaiolo, influenza, peste bubbonica, morbillo, febbre gialla causarono la decimazione degli indigeni. Anche le truppe napoleoniche morirono di tifo in Russia prima ancora di vedere Mosca. Tbc, difterite, colera indiano sterminarono una gran percentuale di lavoratori. Si dava la colpa a tutti, compresi ai cattivi odori causati invece dall’assenza di fognature.

20.04.2020, Ieri a Ponteacco.

   L’autorizzazione ad effettuare piccoli spostamenti nel raggio dei 500 metri da casa, muniti di mascherina indossata, ha vivacizzato relativamente il paese. Più di qualcuno si è avventurato lungo la ciclo-pedonale fermandosi tra Ponteacco e Sorzento per poi tornare indietro. Qualcuno ha eseguito più volte, di corsa,  lo stesso tragitto e fino a Tiglio. È stata una bella giornata di primavera avanzata, fino a sera quando è subentrata la variabilità con la progressiva copertura del cielo. Le campane hanno suonato per Remigio Iussa, da anni assente dal paese, ma sempre rimasto affezionato ai suoi luoghi, ai suoi amici. Il funerale si celebrerà oggi. Con l’assenza pressoché totale di traffico sulla statale abbiamo riscoperto il canto di migliaia di uccelli che popolano il nostro territorio. Più di qualcuno ha notato l’assenza di scie lasciate dagli aeromobili. Sicuramente questa serrata generale ha contribuito a migliorare e preservare l’ambiente. Auguriamo una buona settimana ringraziando per la lettura delle nostre rubriche.  

19.04.2020, La ferratura del cavallo.

   Era un’operazione complessa, che richiedeva molta esperienza e gli attrezzi idonei. I chiodi battuti nello zoccolo del cavallo per fermare il ferro non dovevano sfiorare i terminali nervosi della zampa dell’equino, pena una sua reazione inaspettata che poteva essere un pericoloso scalcio, rischioso per chi stava eseguendo l’operazione. Guido Manig era un esperto di animali, era diventato un autentico consulente per i casi più difficili, che riguardavano tutti gli animali domestici. Conosceva le cure, i rimedi necessari per salvare la vita di una mucca dal parto difficile, di un maiale considerato a buon ragione il salvadanaio della famiglia. Molte persone raggiungevano Ponteacco per ferrare il proprio cavallo grazie all’esperienza di Guido. Un bel giorno –dice la leggenda- un facoltoso signore raggiunse l’officina di Guido per sostituire i ferri degli zoccoli, attese e pagò il servizio lasciandogli una mancia. Il signore se ne andò e Guido raggiunse in un minuto l’osteria della Diana, sulla Gorìza. Ordinò un litro di vino e sei bicchieri. Si sistemò vicino alla finestra della sala, quella che dà sulla piazza. Dopo parecchi minuti passati da solo a sorseggiare il vino dal suo bicchiere si rivolse alla Diana dicendole: «Po ben, mi hanno promesso che sarebbero venuti» e Diana: «Na stùajse bat, Guido, na prìde nobèdan» (Non ti preoccupare, Guido, non verrà nessuno). A Guido non rimase altro che finire molto volentieri il litro di vino lasciando ben puliti i restanti cinque bicchieri.