Il contributo di amministratori dato dal nostro paese è stato sicuramente inferiore a quello di importanti frazioni quali Azzida, Vernasso o lo stesso capoluogo. La storia repubblicana del Comune di San Pietro al Natisone annovera un sindaco nato e vissuto a Ponteaccco durante il suo primo mandato: Cirillo Iussa. C’è da dire che fino agli anni ’80 la struttura amministrativa era realmente ridotta al minimo: Sindaco, Pepè agli affari generali, Romano Iussa, poi Specogna all’anagrafe, Rizzi e un operaio. Questa descrizione è imprecisa e sicuramente ci potrebbe essere una fonte più attendibile. Oltre al sindaco, il paese ha eletto alcuni assessori, tutti appartenenti all’allora partito di maggioranza, la Democrazia Cristiana. Sperando di non omettere alcuno, l’elenco è costituito dalle seguenti figure: Giuseppe Iussa (Beput, padre di Savina e Silvana), Antonio Iussa (padre di Severino), Mario Iussa (padre di Piera, Bianca, Vilma e Luciana), Angelo (Agnul) Manig di Tiglio, Antonio Fulla (Emaz) e Giuseppe (Beppino) Mattelig, uno tra i più giovani …
26.11.2020, Ci mancano gli accessori di un tempo (2/2)
Per strada o sul muretto della scuola, la musica era vissuta con uno strumento davvero trendy: il walkman, piccolo lettore di musicassette con cuffie dotate di spugnette arancioni, lanciato dalla Sony. La musica diventa accessibile anche grazie alle decine di radio private presenti in Friuli. Agli inizi degli ’80 arriva a UD anche il fast-food McDonald, con file lunghissime di chi voleva assaggiare le patatine con l’hamburger affogato in qualche salsa di dubbia composizione. Il primo personal computer della Apple (nato nel 1980) arriva qualche anno dopo da Boris e la sua rivoluzione informatica era costituita da alcune apparecchiature tecniche che oggi farebbero ridere: monitor oblungo al fosforo verde con la tacchetta lampeggiante all’altezza dell’ultima battuta, una tastiera dai tasti molto profondi e poco più avanti nel tempo, il mitico floppy-disk capace di traghettare una mole consistente di dati: 10 floppy disk del tempo non raggiungevano la capacità di un comune telefonino contemporaneo. Era un decennio a colori, che forse non ha avuto il rilievo che si meritava nello sviluppo della società. E un decennio dopo arrivavano i telefonini, pesanti mezzo kg, con il campo da Sanguarzo in giù e con l’antenna da sollevare durante le conversazioni. Intendiamoci: parliamo di non molto tempoo fa.
25.11.2020, Ci mancano gli accessori di un tempo (1/2)
“Osare e farsi notare”, questo era il filo conduttore degli anni ’80: jeans di marca, pailettes, strass luccicanti, spalline imbottite, il famoso cubo di Rubick di cui ci siamo occupati recentemente. Era sabato 26 ottobre 1985 quando iniziò uno dei viaggi nel tempo più popolari della storia del cinema: “Ritorno al futuro”. Quarant’anni fa un’autentica ondata di creatività travolse anche le abitudini del nostro paese e delle valli. Per Ponteacco iniziano a sfilare baffi a manubrio (ce n’erano almeno 5 o 6) e tinte sgargianti con i rivoluzionari Swatch al polso dei più giovani, piccoli strumenti di plastica che avevano indubbiamente il merito di rendere piacevole lo scorrere del tempo, oltre ad essere abbinati a scarpe o giacche. Le novità di quegli anni contaminarono tutto cìò che trovavano sul loro passaggio. Le piste delle discoteche erano sempre piene, pensiamo al Love Story di Buttrio, al Tropicana di Mereto di Capitolo, al Nord-Est di Moimacco o alla Grotta di Artegna, locali dove si riversavano i nostri ragazzi nei fine-settimana …
24.11.2020, La nostra cucina (5/5)
Le uova sode, strapazzate e le frittate hanno attenuato i morsi della fame di tutte le generazioni che ci hanno preceduto. La cottura delle verze produceva un profumo penetrante, che tutti ricordiamo e che oggi a buon ragione accompagnano la carne di maiale, così come la brovada di rape che costituisce assieme al muset una specialità valligiana. L’orto forniva i sapori forti dei piatti che oggi assaggiamo in formato “souvenir”: la cipolla, l’aglio, il sedano. Prima dell’arrivo delle latterie turnarie di Tarcetta, Azzida e Vernasso, ogni famiglia preparava il proprio formaggio, il burro e la ricotta inizialmente da latte ovino e caprino, poiché le mucche erano piuttosto delicate, esposte a frequenti malattie e epidemie. La perdita di ricette, la mancata trascrizione della tradizione popolare ci hanno fatto perdere piatti irripetibili e, se è vero che siamo ciò che mangiamo, abbiamo purtroppo perso una porzione della nostra identità.
23.11.2020, Ieri in paese
Alcune decine di auto in transito lungo la statale tutto il giorno, niente di più. Persone a passeggio lungo la ciclo-pedonale, ponteacchesi rinchiusi in casa tranne poche eccezioni. Questo è il quadro generale della domenica appena trascorsa. Lo spirito nel complesso è positivo perché se nel corso della settimana che inizia oggi i contagi dovessero diminuire, forse si allenteranno anche le disposizioni restrittive. È intenzione della Pro Loco di riaprire al più presto il Centro. Enzo ha portato due grossi cestoni carichi di muschio e il prossimo fine-settimana potrebbe essere dedicato agli addobbi natalizi, sperando nella buona sorte. Auguriamo giorni sereni e in salute.
22.11.2020, La nostra cucina (4/5)
Le minestre si arricchiscono di fagioli, patate, orzo e tra i più benestanti anche dal riso comprato in qualche mercato di città. Il brodo di carne era l’autentica medicina per le persone deboli, per le donne che avevano appena partorito. Sorvoliamo sul “maiale-Salvadanaio”, del quale ci siamo occupati molte volte, anche se va sottolineata la maggiore disponibilità di sale e spezie che hanno indubbiamente raffinato la produzione di norcineria nelle Valli, creando la figura del “maestro-purzitar”, conteso da tutti proprio nei periodi di fine novembre Le carni bianche erano consumate raramente, soprattutto nelle occasioni speciali. La cacciagione dava un importante contributo proteico. La carne bovina era una rarità. I tagli migliori erano venduti o barattati al mercato, mentre le parti meno nobili erano talvolta alla portata anche della gente comune. La nostra cucina ha in elenco vari piatti composti proprio dai tagli secondari.
21.11.2020, La nostra cucina (3/5)
Nelle case dei poveri non esisteva cucina, bastava un fuoco, qualche lonàz per la minestra, la grossa pentola per la polenta e forse una o due stanjade: era questo l’arredamento della “cusìna sporcja”, il retro della cucina. In paese, di fronte all’abitazione della famiglia Santo, una signora ha vissuto per anni senza camino, facendo il fuoco in mezzo alla stanza e tenendo socchiusa la porta per far uscire il fumo. Tutto era nero in quella stanza, tutto affumicato. Stessa cosa anche da Flip. Nel convento di Ponteacco pare si mangiasse meglio, grazie anche all’apporto dei prodotti del vasto orto. Come avevamo scritto giorni fa in altra rubrica, solo nel Seicento arrivarono nelle Valli le patate, il granoturco e i fagioli che rivoluzioneranno le abitudini alimentari, a cominciare dalla polenta che sarà a base di granoturco e non un mix di miglio, spelta, sorgo e sorgo rosso (povera, insipida, cattiva, un’autentica schifezza) …
20.11.2020, La nostra cucina (2/5)
Il nostro Riparo preistorico ha fornito le prove di una cucina rudimentale, dove si coltivavano cereali, dove si produceva una bevanda fermentata, dove si allevavano i primi animali domestici che fornivano il latte, le uova, la carne. È stato l’inizio della nostra cucina che ha sentito gli influssi dell’Aquileia romana, dell’arrivo e conseguente stratificazione di popoli stranieri. Quella che noi consideriamo “cucina tipica del territorio valligiano” risale in parte al basso Medioevo, ovvero dal 1000 circa, quando i Patriarchi avviarono nuovamente l’agricoltura devastata dalle invasioni e occupata dalla boscaglia. Si crearono nelle Valli i primi terrazzamenti per consentire l’estensione di orti. Si proseguì con l’allevamento di suini e ovini allo stato brado e di volatili quali galline e oche. Molti dei piatti che consideriamo tipici delle valli (e i nomi li conosciamo bene) escono da quei lontani tempi e sono frutto dell’ingegnosità del conservare le materie prime durante l’inverno, siano essi prodotti della macellazione, siano rape (brovada) e conserve …
19.11.2020, La nostra cucina (1/5)
La manifestazione culinaria “Invito a pranzo” ha subìto una battuta d’arresto a causa dell’emergenza sanitaria e, poco prima, dai risultati piuttosto modesti per il caro-prezzi e per le porzioni misere, poco più di un assaggio e questo costituirà uno dei potenziali fallimenti della rassegna gastronomica che in questi anni ha fatto conoscere ad un pubblico assai vasto le caratteristiche della cucina valligiana. Ci siamo chiesti: esiste una cucina valligiana? Gli aggettivi che solitamente si usano per definire la nostra cucina sono: “semplice”, “genuina”, “povera”, “rurale”, ma se ciò oggi è simbolo di ricercatezza in una felice contrapposizione al mangiare “globalizzato” e ai gusti standardizzati, o al divismo che interessa i grandi cuochi (non ce n’è uno che non abbia scritto un libro, a cominciare dal cuocone Cavaturacciolo, sempre in tv), non fu così in passato. Nel ricostruire la storia della nostra cucina, dobbiamo tenere conto che molto è andato perduto, compresa quella tradizione orale che si è interrotta decenni fa. La cucina del nostro territorio corrispondeva ad un’esigenza fondamentale: cercare il meglio per contrapporsi alla fame, mettendo in atto gli stratagemmi utili per rendere commestibile ciò che la natura offriva, per sfruttare al meglio i prodotti del coltivare una terra non molto generosa …
18.11.2020, La raccolta del granoturco (2/2)
La lavorazione delle pannocchie nella stanza dov’erano ammucchiate era una tra le operazioni più gradite. I Serafini portavano il raccolto sul grande stanzone posto sopra la galleria d’accesso e numerose erano le persone che si prestavano alla lavorazione. Un periodo breve e gradito perché tutta la sera si cantava ed era una delle poche occasioni, anche per i giovani, per far tardi, naturalmente mai dopo le 10 (22:00). Ma il lavoro non finiva qui! Era necessario sgranare le pannocchie con il čùžnjak, un attrezzo dalla forma ovale che di infilava a metà del palmo della mano, munito a doppia fila di denti “a pescecane”. Si trattava di un lavoro di grande pazienza perché prima di riempire un sacco, ce ne voleva di tempo. Il grano, se era troppo umido, doveva essere sparpagliato su un capace contenitore a forma rettangolare con la rete sul fondo e asciugato sul fornello. Ustìn non voleva del mais troppo umido, perchè avrebbe impastato le macine. Insomma, un lavoro immane della durata di una settimana più il tempo necessario per la sgranatura. Sono bastati 15 minuti, domenica scorsa, per completare tutto il lavoro, proprio dalle 12:00 alle 12:15.