23.01.2022, Il tramonto (2/2)

    Il tramonto era un anticipo del lockdown che viviamo oggi: gli adulti uscivano per la sola necessità, le ragazze e i ragazzi potevano osservare l’oscurità dalla finestra, spesso oscurata da scuri interni al di là dei quali potevano esserci inquietanti presenze, a volte paurose come quella di un uomo al quale piaceva guardare in casa dalle finestre, a debita distanza, ma se scoperto faceva venire un colpo dalla paura, quando la sagoma si vede e non si vede. Quella condizione a volte oppressiva era consolata dalla recita familiare del rosario, dell’intrattenimento con racconto e leggende spesso terrificanti, con la presenza in casa di qualche zia che faceva visita, magari preparando la batuda con l’agitare per molti minuti il latte contenuto nel bottiglione. E questa zia poi rientrava a casa su, “tardissimo”, ovvero verso le 20:00, affrontando il ritorno lungo le vie buie e senza asfalto del nostro paese. I ragazzi rabbrividivano nell’immaginare il rientro a casa del sacrestano: quei 300-400 dalla chiesa al paese, ai margini del bosco, con le sue presenze inquietanti e invisibili.

22.01.2022, Il tramonto (1/2)

   Il tramonto rappresenta il confine tra il giorno e la notte e questa separazione è annunciata dall’Avemaria che è suonata ogni sera dai tempi dei tempi. Nella saletta espositiva del campanile c’è l’elenco dei mežnari, i sacrestani che hanno svolto per anni e senza la giusta visibilità un’opera molto importante per la nostra collettività. L’Avemaria della sera nei tempi passati, aveva la funzione religiosa di richiamare i fedeli alla preghiera di fine giornata. I rintocchi della campana grande in “fa#-diesis” coglievano molte persone in stalla, intente a “komadare” le mucche, oppure a mungere, mentre il suono della campana media in “sol#-diesis” corrispondeva all’accorato ringraziamento per quanto ricevuto nel corso della giornata. Il suono della campana media, dopo l’Avemaria, si è estinto con l’arrivo del suono computerizzato delle nostre campane dove i bronzi sono programmati e programmabili. L’Avemaria aveva un preciso incarico, quello di indicare il margine posto tra luce e tenebre, il bordo da non oltrepassare, il segnale del dovuto rientro a casa, soprattutto in questa stagione invernale dove le giornate sono corte e le serate avvolte spesso nella bruma.

21.01.2022, Inverni freddi (3/3)

   Rimane memorabile la grande nevicata del febbraio 1952. In un giorno a Cividale cadde un metro di neve e sulle colline metri e metri. Per molti giorni la valle rimase isolata a causa delle rigide temperature seguite alla nevicata. Rilevante la nevicata che colpì tutta l’Europa nel 1956. Ci stiamo avvicinando alla fine del mese di gennaio e spesso sentiamo parlare dei giorni della merla. Un tempo i contadini friulani osservavano le condizioni meteorologiche dei tre giorni della merla e sulla base di esse facevano le previsioni dei tre mesi seguenti. Se il 30 era piovoso e mite, anche febbraio lo sarebbe stato, mentre se il 29 era soleggiato lo sarebbe stato anche il mese seguente. Perche’ si chiamano “ i giorni della merla”? Il 29, 30, 31 gennaio i “dì” della merla”, costituiscono il periodo considerato il più freddo dell’ anno. La leggenda dice che nel passato i merli erano di colore bianco e che sbeffeggiavano gennaio per il fatto che stesse finendo senza un solo giorno di gran gelo, anzi era mite. Cio’ irritò gennaio che si vendicò facendo venire un freddo polare. Per difendersi dal freddo i merli si rifugiarono nei camignoli per tre giorni, e quando ne uscirono erano tutti neri.

20.01.2022, Inverni freddi (2/3)

     Nel lungo inverno ci si alzava presto e si andava a letto presto. E qui cominciavano i dolori. Le camere da letto erano dormitori ghiacciati, i materassi erano scomodi e le coperte scarse che coprivano ma non scaldavano. Spesso non riuscivamo a dormire e ci si metteva nel letto della sorella per scaldarci a vicenda. Il mattino, non riposati ed ancora intirizziti ci vestivamo in fretta e ci si lavava sommariamente con l’acqua ancora gelida, ammirando i begli arabeschi sui vetri delle finestre. Chi andava a lavorare, chi andava a scuola, chi rimaneva a casa (per i contadini era quasi un periodo di riposo). Pochi possedevano una giacca pesante o un cappotto. Solo i pochi che lavoravano in un ufficio, a scuola, lavoravano in luoghi confortevoli. Da anni praticamente non nevica più, non si va a sciare sul Matajur e i bambini non sanno cosa significhi salire trascinando la slitta fino alla chiesa e scendere a gran velocità fino al paese. Ricordo quando nel cuore della notte scendeva da Stupizza lo spazzaneve che rendeva possibile l’arrivo della corriera Rosina . Negli anni ’50 spesso la corriera arrivava solo fino a San Pietro e noi ci andavamo a scuola camminando a fatica nella neve alta, calzando le solite scarpe scalcagnate ed inadeguate alla stagione.

19.01.2022, Inverni freddi (1/3)

    Riceviamo questo contributo molto interessante: “Notiamo che quest’ inverno, finora, è particolarmente mite, certamente se paragonato con quelli del passato. Certamente non possiamo lamentarci visto che quasi tutte le case hanno il riscaldamento centrale o comunque sono riscaldate a sufficienza. I bambini/ ragazzi vanno portati a scuola dai genitori o uno scuolabus. La gente va a lavorare e al supermercato in macchina. Penso che nessuno, per fortuna sua, sappia veramente cosa sia patire il freddo. Fino a qualche decina di anni fa si poteva veramente parlare di veri inverni, freddi, nevosi e lunghi. Nei nostri paesi, nelle  case si aveva lo spolert o il fornello che serviva a scaldare l’ ambiente, a cucinare  ed asciugare il bucato (che di giorno era appeso all’ esterno e la sera portato in casa). Il fuoco rimaneva acceso solo  per alcune ore del giorno, non so perché, in quanto normalmente da noi la gente aveva abbastanza legna da ardere, senza doverla acquistare. Bene. Erano ore beate, soprattutto la sera, quando dopo cena si ascoltava la radio, si pregava, si mangiavano castagne o la frutta secca di propria produzione, si beveva la tisana di fiori di tiglio. C’era atmosfera di famiglia, si stava insieme, ci si confidava” …

18.01.2022, Una santa inesistente

   Nel Seicento i credenti friulani riuscirono a creare il mito di una santa inesistente. Lo abbiamo scoperto casualmente durante una ricerca in un archivio di Udine e pare sia stata oggetto di studio da parte di storici e ricercatori. Si tratta di santa Sabata o Sabbata, sante Sabide in lingua friulana. Un’aureola che non è contemplata nell’elenco ufficiale dei santi e beati della Chiesa cattolica. Una santa “inventata” dal popolo e diventata nel tempo assai popolare al punto che divenne uno dei nomi di battesimo assai diffusi fino alla fine del Settecento. Vista l’ampia ramificazione dell’influsso aquileiese, che raggiungeva le valli della Drava e della Sava, è molto probabile che anche nei nostri paesi si venerasse questa santa inesistente, ma con un chiaro riferimento al sabato, il giorno di festa degli ebrei. Nella stessa ricerca, siamo venuti a conoscenza che fino al Seicento, nelle Valli e nel resto del Friuli, il sabato era un giorno non lavorativo e a numerose bambine era imposto il nome di questa santa, Sabbata. Nei libri inquisitoriali di Udine e anche nei “libri dei morti” parrocchiali di vari centri delle valli, le Sabbata sono presenti fino agli inizi del Settecento. Probabilmente si tratta di un’influenza dell’elemento ebraico nelle comunità primitive giudaico-cristiane della nostra regione, area che ne trasuda di storia!

17.01.2022, Ieri al Centro

   La terza domenica dell’anno trascorsa al Centro, nel suo complesso è andata abbastanza bene. L’accesso di soci è stato piuttosto contenuto poiché una parte del paese fa ancora i conti con i postumi dell’infezione. La nota positiva consiste nel fatto che erano presenti alcuni soci completamente guariti dopo aver contratto la variante Omicron agli inizi del mese. È stata fissata la prossima riunione del Consiglio direttivo che si terrà lunedì 24 gennaio. Probabilmente il Consiglio deciderà di cancellare anche quest’anno le manifestazioni previste per la festa della patrona, Santa Dorotea. Si valuterà, sentito il parroco, la sola celebrazione della messa, proprio per evitare assembramenti che offrano occasione di contagio. Del resto, una domenica primaverile come quella di ieri, non poteva non trasformarsi in occasione di svago con uscite e passeggiate. Auguriamo una buona settimana.

16.01.2022, Viandanti e terapeuti (2/2)

    Tali persone spesso erano di sesso femminile, vivevano emarginate, malvestite, trascurate, denutrite, abituate ad esprimersi con una gestualità fuori dal comune, abituate a parlare da sole. A volte si proclamavano “destinate” a tale ruolo di indovine o preveggenti, forse in piena attività in determinate notti dell’anno. Facilmente, dunque, finivano nell’oblio, considerate alla stregua di nemici della comunità. Anche in paese, in tempi abbastanza recenti, c’erano persone legate alla chiromanzia, alla lettura delle carte, della mano. Le seguenti migliorate condizioni economiche permetterono a queste persone di svolgere il loro lavoro con dignità, diventando assai popolari anche oltre i confini del paese. Nelle valli c’erano vari terapeuti e varie terapeute la cui attività, secondo certe ricerche pubblicate recentemente anche da “La Vita Cattolica”, era riconducibile ai riti del primo cristianesimo, quello di san Marco. L’evangelista –pochi lo sanno- arrivò ad Aquileia dopo aver fondato la prima chiesa cristiana in Egitto, ovvero proprio la comunitò dei Terapeuti, che costruivano i loro luoghi di culto in prossimità di acque sorgive, dolci, salubri, proprio come ad Aquileia, da dove iniziò la nostra storia. 

15.01.2022, Viandanti e terapeuti (1/2)

   Un tempo i nostri paesi era incessantemente frequentati da gente di passaggio: persone che chiedevano la carità, che cercavano un bicchiere di vino, prestatori di manodopera occasionale. Si trattava molto spesso di anime che vivevano in condizione di marginalità, spesso indebitate a causa di cure mediche al tempo tutte a pagamento, oppure indigenza causata da eventi straordinari quali la morte di una mucca, o da contese giudiziarie che spesso terminavano con provvedimenti esecutivi senz’appello gravanti sulla proprietà dell’esecutato. Nel ‘700 e ‘800 giravano anche persone che predicevano il futuro, la buona o la mala sorte. Le frequenti pressioni del clero sull’opinione pubblica del tempo, soprattutto con prediche molto esplicite durante la messa domenicale, le frequenti sollecitazioni indirizzate ai parenti dei “clienti” o ai clienti stessi affinché denuncino, non sortirono grandi effetti. Questi esperti dell’occulto erano alla spasmodica ricerca di una legittimazione in una società afflitta dalla profonda miseria, con una realtà quotidiana fatta di paure di malattie e paure di disgrazie, forse anche di fortune momentanee e anche di invidie permanenti sullo sfondo di un ordine strutturale che si esprimeva attraverso precise regole nei rapporti con i suoi membri. L’emarginazione dei più deboli o dei più esposti alle critiche, creava opinione comune della loro affiliazione con l’occulto del quale non avevano neppure cognizione diretta …

14.01.2022, Territorio aspro (2/2)

   Con la descrizione del Provveditore Veneto relativa al territorio delle Valli, il Governo veneziano ricavava un’immagine a tutto campo, tale da permettere una pratica e concreta progettazione delle azioni amministrative e di governo. L’ambiente fisico delle Valli ne era la base, ma l’uomo ne era l’elemento condizionante e centrale. Il territorio cessa di essere spazio inanimato per diventare ambiente, ovvero uno spazio socialmente attivo dove l’uomo, interagendo con esso, lo modifica ed è a sua volta condizionato e influenzato nelle sue scelte organizzative. È interessante la ricerca degli elementi utili alla costruzione dello scenario ambientale, anche se questi sono riconducibili ad un territorio molto più vasto rispetto al singolo paese. L’ormai proverbiale definizione trascritta nei documenti si riferisce al motto latino “hic sunt leones” (qui ci sono i leoni), sinonimo di terre inospitali e inesplorate. E sulle carte di leggono Ponteglaco (Ponteacco), Ladetejo (Tiglio), Surzint (Sorzento), Brisgis (Brischis), San Giovanni di Landri (San Giovanni d’Antro) e così via. Risalgono all’ultimo decennio del ‘500. Quella, presa in considerazione, è stata preparata da Cristoforo Sorte (1590) ed è conservata nella Biblioteca governativa di Gorizia.