02.04.2020, È cambiata la spesa dei paesani (1/2).

   Il periodo eccezionale che stiamo vivendo sta causando conseguenze anche sulle nostre abitudini. Abbiamo chiesto ad alcuni osservatori per stabilire se è cambiata anche l’abitudine alimentare, adeguandosi questa al momento in cui ci troviamo. Il periodo di emergenza sanitaria, nonostante non ci siano problemi di approvvigionamento, ha mutato sensibilmente gli acquisti dei ponteacchesi, dei valligiani. Dal Centro Commerciale Discount, dalla Coop, dalla Despar escono carrelli carichi di generi alimentari e non. Il direttore di una struttura ci ha detto che gli acquisti sono concentrati soprattutto su alcune categorie alimentari e non alimentari.  C’è un velato timore che questa serrata forzata si possa trasformare addirittura in un divieto di fare la spesa. Ecco che scatta la molla che tende a far riempire i carrelli all’inverosimile. È aumentato il consumo dell’acqua minerale dopo la chiusura della Casa dell’Acqua di San Pietro al Natisone; va forte la farina in questa nuova rivalutazione del pane fatto in casa, ma è sparito il lievito …

01.04.2020, Un chirurgo dell’Ottocento (2/2).

“Quel giorno all’ospedale di Cividale era in programma un’amputazione. In tre minuti sono riuscito a staccare la parte malata del braccio del poveretto e a cauterizzare il moncone rimasto. Ho ricevuto calorosi applausi dalle persone presenti in sala operatoria”. Dunque, un tempo si operava a mani nude, indossando un grembiule allacciato sui vestiti con cui si usciva da casa e quello che si potrebbe definire “sala operatoria” era una stanza piuttosto trafficata. Gli strumenti chirurgici a volte erano sporchi o comunque frettolosamente lavati nel lavandino. Bisognava attendere la fine di quel secolo per vedere finalmente i camici bianchi, i guanti di gomma (1895), le cuffie per coprire i capelli e le mascherine di garza (1899). Tra i medici la mortalità era elevata: dissezionavano senza protezione i cadaveri dissepolti, eseguivano autopsie su corpi infettati. Potevano contrarre infezioni irreversibili anche tramite piccoli tagli alle mani. Bisognava attendere il 1850, grazie a un medico ungherese, che per dimezzare il rischio di infezioni era necessario da parte dei medici lavarsi le mani. I primi gas anestetici arrivarono a Cividale a fine Ottocento e fino a prima le operazioni si svolgevano da svegli, magari con un bicchierino di grappa prima di essere sottoposti al taglio della carne.

31.03.2020, Un chirurgo dell’Ottocento (1/2).

   Un tempo si moriva anche per patologie oggi guaribili. In paese ci sono state numerose donne morte di parto causate da problemi spesso legati alle infezioni. Povere mogli che lasciavano anche altri figli piccoli, gettando nello sconforto l’intera famiglia. Si moriva di appendicite-peritonite e di tutte le patologie che mietevano vite tra i bambini. L’aspettativa di vita era bassa, a stento si superavano i 60 anni a fino Ottocento, considerate vere eccezioni. I  parametri di igiene moderni erano del tutto assenti e non era raro contrarre infezioni causate delle scarse condizioni sanitarie in cui vivevano i nostri antenati. Predatori e parassiti erano costantemente alla ricerca di una preda facile o di un ospite nelle vicinanze; come oggi, inoltre, anche il clima mieteva costantemente vittime per ipotermia, colpi di calore o fenomeni naturali violenti contro cui i cacciatori-raccoglitori avevano ben poche risorse per difendersi. Un farmacista di Cividale ci ha detto che nell’Ottocento i chirurghi, a proposito dell’ormai ex-ospedale dicevano: “Ah, il buon vecchio puzzo dell’ospedale, quello di carne marcia, di pus!”. Un professionista del tempo così scrive sul suo diario: “Stamattina sono uscito con calma da casa; sopra il completo marrone ho indossato la redingote, il cappello, ho baciato la moglie e mi sono tuffato tra le fredde folate di vento del Ponte del Diavolo” …

30.03.2020, Ieri a Ponteacco e nella Valle.

  Mortuorio, biip – linea piatta, silenzio interrotto solo dal canto degli uccelli, sì e no una ventina i mezzi in transito tutto il giorno. Questa è la terza domenica “ai domiciliari” del nostro paese e di tutto il FVG. Alle 17:00 c’è stato l’ormai consueto passaggio della vettura della Protezione civile con il suo lugubre messaggio audio, abbaiato da alcuni cani del paese. Diamo atto della grande disponibilità degli operatori volontari della Protezione civile, tra questi anche il nostro Consigliere Lorenzo Iussa, che da settimane sono a disposizione ininterrotta della popolazione e di chi ha bisogno. Il sacrificio è enorme, più di qualcuno si trova vicino ad una crisi di nervi e, nonostante qualche segnale incoraggiante, non si intravede ancora la fine del tunnel. Sarà ancora una settimana di sacrificio, anche se non sono da escludere restrizioni fino a Pasqua, con l’incubo di fare il pic-nic sul proprio terrazzo. La Pro Loco augura giorni sereni in un periodo che nessuno di noi mai dimenticherà.

29.03.2020, Il guado di Tiglio (2/2).

   Si trattava di un guado non asciutto, con una profondità dell’acqua omogenea, dai 10 ai 30 centimetri al massimo, salvo le piene. Era un’alternativa molto utile alla passerella costruita dopo il bombardamento e la conseguente distruzione del ponte di Tiglio. Il guado era molto trafficato, specie da carri che trasportavano legname e prodotti dell’agricoltura. Il suo attraversamento, in condizioni  di portata normale del fiume, era del tutto sicuro. Dopo ogni piena gli utilizzatori asportavano gli eventuali sassi, il pietrisco e la sabbia per renderlo sempre agevole. Lungo il Natisone si ricordano almeno 4 guadi di una certa importanza: 1. quello che collegava Stupizza all’altra sponda per raggiungere Montefosca, a valle dell’abitato; il guado di Pulfero-Cicigolis, di Tiglio-Tarcetta, di Orsaria-Leproso e di Manzano-San Giovanni. Un altro importante guado attraversava il Torre tra Manzano e Percoto, utilizzato fino agli anni ’60 dai nostri lavoratori, per lo più muratori, che lo attraversavano a volte schivando grandi rischi e all’inizio del boom economico a bordo di comode biciclette: Ponteacco-Percoto andata/ritorno al mattino e alla sera di 6 giorni su 7. Enzo ne sa qualcosa..

28.03.2020, Il guado di Tiglio (1/2).

   Renzo Onesti è “una memoria storica” dei nostri tre paesi. Si ricorda di particolari che appartengono ai ricordi di pochi. È dalla notte dei tempi che l’uomo ha cercato di superare l’ostacolo naturale costituito dalle acque di fiumi e torrenti e di raggiungere la sponda opposta per le proprie necessità. Il primo mezzo di attraversamento dei corsi d’acqua o dei ghiaioni dei torrenti asciutti era costituito dal guado che univa sponde opposte per motivi di commercio, comunicazione e fede. Forse non tutti sanno che fino agli anni ’50 è esistito un guado sul Natisone, piuttosto trafficato, che collegava Tiglio con la sponda opposta, quindi con Tarcetta o Biacis a seconda della direzione che si prendeva alla “Križava pot”, l’incrocio nei pressi di un noccioleto che oggi è di proprietà di Renzo. Si trattava di un incrocio dal quale si diramavano due strade, una verso Tarcetta-Lasiz e l’altra, appunto, verso Cras-Biacis. Il guado era costituito da una massicciata in blocchi di pietra e collocato in un tratto del letto piuttosto largo, che oggi è difficile da individuare a causa delle modifiche del corso del fiume. Per accedere al guado si percorreva il tratturo che partiva dalla statale, sfiorava la proprietà di “Fùasaz”, una delle due villette bianche a sinistra, quasi a fine discesa di Tiglio, arrivava al guado, per poi continuare con la strada che abbiamo appena descritto…

27.03.2020, Le piene eccezionali del Natisone (2/2).

  Una nota dell’aprile 1450 recita “che il Natisone si era gonfiato spaventosamente”; nel 1596 quando “tutti i fiumi del Friuli disalveano per piogge strabocchevoli” e nell’ottobre 1823 quando ancora “tutti i fiumi e torrenti del Friuli straripano apportando gravi danni. Il nostro fiume esondò anche nel 1480, 1592, 1597, 1798, 1840 e quella spaventosa del 20 settembre 1844 che causò due morti a Brischis. I danni del paese furono riparati grazie agli aiuti pubblici austriaci e sottoscrizioni private. . Altre memorabili piene del Natisone furono quelle del settembre 1917 seguita dall’evento catastrofico del 20 settembre 1920 quando si verificarono molte frane da Tiglio verso Stupizza, portando con sé i numerosi guadi che univano le due sponde. I tronchi a mo’ di diga, cancellarono 3 ponti. La casa tra Ponte San Quirino e Purgessimo (a sx della discesa) subì gravi danni, mentre nella stalla non riuscirono a salvarsi vari animali. Abbiamo più volte parlato dell’eccezionale piena del 21 giugno 1958, quando l’acqua distrusse il mulino oggi trasformato in Centro visite, distruggendo il ponte di Pulfero. Il fiume  Altre gravi piene si ebbero a distanza ravvicinata il 10 e il 20 settembre 1964 e il 4-5 novembre 1966, quando nel basso Friuli il Tagliamento causò morte e distruzione. Altre piene paurosa si ebbero nel 1967, 1968, 1990 e 1998.

26.03.2020, Le piene eccezionali del Natisone (1/2).

Le piene eccezionali del Natisone (1/2).

   Si parla spesso di eventi estremi, ma anche un tempo si sono verificati fatti talmente estremi, da essere difficilmente superati.  Nel 1250 le cronache riportano notizie di un’impressionante alluvione che portò via il mulino delle Orsoline, arrivando a lambire la salita che porta al convento e asportando un ponte che collegava le due rive. Improvvise impennate di torbida furono registrate a cadenza quasi regolare per tutti  i secoli, facendo danni incalcolabili ad argini, roste, abitazioni, strade, coltivazioni, uomini e animali. L’ 11 settembre 1271 il fiume distrusse buona parte del Borgo Brossana di Cividale causando danni alla chiesa e all’attiguo cimitero di San Biagio. L’11 settembre, altra data di coincidenza, del 1327 il fiume distrusse tutte le strade da Tiglio a Stupizza, mentre il 26 agosto 1468 “portò via” molte abitazioni e stalle di Brischis, che forse in quei tempi era uno dei paesi più a rischio della valle. Situato in una piccola pianura allo sbocco della stretta valle di Stupizza, probabilmente risentiva della consistente massa d’acqua che usciva con impeto dalla forra. Dobbiamo anche tenere in considerazione la fragilità del patrimonio abitativo dell’epoca, soprattutto per quanto riguarda le stalle.  

25.03.2020, Leggère riflessioni sul nome “Natisone”.

Il nostro caro fiume con le sue chiare fresche e dolci acque … Forse non tutti sanno che l’idronimo “Natisone” è noto almeno dal 50 a.C. Un nome, dunque, dalla remota origine derivato dal verbo nătāre, nuotare, scorrere. È certo che il nostro fiume prese il nome di Natissa, quando raggiungeva direttamente il mare di Grado, dopo aver alimentato il fiorente porto di Aquielia. La variante „Natisòn” pare sia stata assunta proprio dagli abitanti della laguna di Grado, per poi rislaire come idronimo unico per tutta l’asta del fiume. I fonemi “iso, is, ens, iss” sono di provata origine celtica con riferimenti alla mitologia irlandese e cimrica collegati alla venerazione del dio „Neud”, guerriero e padre delle sorgenti.  „Nou-dent-s” si incrocia con la base latina “na-, na-t, natis-is”. Possiamo ipotizzare che il punto di partenza dell’idronimo „Natisone”  sia il nome stesso dell’acqua rafforzato da quello del dio celtico Noudens, divinità-re, re pescatore, re delle acque superiori (cielo) e di quelle inferiori (fiumi). Il cambio romano di toponimo, in una forma suggestivamente simile è tipico della colonizzazione romana. Gli esempi di tale „politica linguistica” sono numerosi in tutti i territori da loro amministrati. Chiamiamolo „tentativo” di nascondere o rimuovere il toponimo originale con tutte le sue associazioni religiose e rituali, sostituendolo con la forma assonante di „Natissa”, che rappresenti dunque le nuove connotazioni sociali e culturali dei nuovi dominatori.

24.03.2020, Il cavallo di Brunich.

   Come ben sappiamo, i cavalli sono molto intelligenti e cercano di adattare al meglio, nel loro interesse, la situazione in cui si trovano. Il cavallo, ad esempio, mal sopporta la pioggia che bagna il suo mantello ed è nel suo istinto cercare un riparo. Ne sapeva qualcosa la Nadalia. Mentre era in cantina a sistemare le patate con l’aiuto delle figlie, la pioggia improvvisa iniziò a bagnare il cavallo lasciato libero nei pressi della stalla. Era un animale così docile che mai avrebbe causato problemi. Ma quella pioggia non gli andava proprio giù. Vedendo la porta aperta, quatto –quatto si rifugiò nella ben più tiepida e confortevole cucina. Finito il lavoro, la Nadalia si trovò questo monumentale equino tra il furnèl in mattoni e il kandreiòn, il vecchio sofà. Le cose andarono diversamente da Brunich, a Mezzana. Ogni giorno Nerina concedeva al suo amato quadrupede uno zuccherino, un po’ di pane tociato (intinto) nel miele. Sta di fatto che, forse per disattenzione, quella mattina Nerina si allontanò da casa lasciando aperte le porte, senza far caso al cavallo che entrò in cucina proprio alla ricerca di quella che era la sua consuetudine, probabilmente lo zucchero. Al rientro Nerina trovò la cucina semidistrutta: le antine aperte, tutto rovesciato, piatti e bicchieri rotti. Dopo qualche “bùah te straf, zlùadi e dep te … odletèu” tutto tornò come prima. Nerina continuò a viziare il suo caro cavallo, stando ben attenta a chiudere la cucina prima di andar via.