Renzo Onesti è “una memoria storica” dei nostri tre paesi. Si ricorda di particolari che appartengono ai ricordi di pochi. È dalla notte dei tempi che l’uomo ha cercato di superare l’ostacolo naturale costituito dalle acque di fiumi e torrenti e di raggiungere la sponda opposta per le proprie necessità. Il primo mezzo di attraversamento dei corsi d’acqua o dei ghiaioni dei torrenti asciutti era costituito dal guado che univa sponde opposte per motivi di commercio, comunicazione e fede. Forse non tutti sanno che fino agli anni ’50 è esistito un guado sul Natisone, piuttosto trafficato, che collegava Tiglio con la sponda opposta, quindi con Tarcetta o Biacis a seconda della direzione che si prendeva alla “Križava pot”, l’incrocio nei pressi di un noccioleto che oggi è di proprietà di Renzo. Si trattava di un incrocio dal quale si diramavano due strade, una verso Tarcetta-Lasiz e l’altra, appunto, verso Cras-Biacis. Il guado era costituito da una massicciata in blocchi di pietra e collocato in un tratto del letto piuttosto largo, che oggi è difficile da individuare a causa delle modifiche del corso del fiume. Per accedere al guado si percorreva il tratturo che partiva dalla statale, sfiorava la proprietà di “Fùasaz”, una delle due villette bianche a sinistra, quasi a fine discesa di Tiglio, arrivava al guado, per poi continuare con la strada che abbiamo appena descritto…
27.03.2020, Le piene eccezionali del Natisone (2/2).
Una nota dell’aprile 1450 recita “che il Natisone si era gonfiato spaventosamente”; nel 1596 quando “tutti i fiumi del Friuli disalveano per piogge strabocchevoli” e nell’ottobre 1823 quando ancora “tutti i fiumi e torrenti del Friuli straripano apportando gravi danni. Il nostro fiume esondò anche nel 1480, 1592, 1597, 1798, 1840 e quella spaventosa del 20 settembre 1844 che causò due morti a Brischis. I danni del paese furono riparati grazie agli aiuti pubblici austriaci e sottoscrizioni private. . Altre memorabili piene del Natisone furono quelle del settembre 1917 seguita dall’evento catastrofico del 20 settembre 1920 quando si verificarono molte frane da Tiglio verso Stupizza, portando con sé i numerosi guadi che univano le due sponde. I tronchi a mo’ di diga, cancellarono 3 ponti. La casa tra Ponte San Quirino e Purgessimo (a sx della discesa) subì gravi danni, mentre nella stalla non riuscirono a salvarsi vari animali. Abbiamo più volte parlato dell’eccezionale piena del 21 giugno 1958, quando l’acqua distrusse il mulino oggi trasformato in Centro visite, distruggendo il ponte di Pulfero. Il fiume Altre gravi piene si ebbero a distanza ravvicinata il 10 e il 20 settembre 1964 e il 4-5 novembre 1966, quando nel basso Friuli il Tagliamento causò morte e distruzione. Altre piene paurosa si ebbero nel 1967, 1968, 1990 e 1998.
26.03.2020, Le piene eccezionali del Natisone (1/2).
Le piene eccezionali del Natisone (1/2).
Si parla spesso di eventi estremi, ma anche un tempo si sono verificati fatti talmente estremi, da essere difficilmente superati. Nel 1250 le cronache riportano notizie di un’impressionante alluvione che portò via il mulino delle Orsoline, arrivando a lambire la salita che porta al convento e asportando un ponte che collegava le due rive. Improvvise impennate di torbida furono registrate a cadenza quasi regolare per tutti i secoli, facendo danni incalcolabili ad argini, roste, abitazioni, strade, coltivazioni, uomini e animali. L’ 11 settembre 1271 il fiume distrusse buona parte del Borgo Brossana di Cividale causando danni alla chiesa e all’attiguo cimitero di San Biagio. L’11 settembre, altra data di coincidenza, del 1327 il fiume distrusse tutte le strade da Tiglio a Stupizza, mentre il 26 agosto 1468 “portò via” molte abitazioni e stalle di Brischis, che forse in quei tempi era uno dei paesi più a rischio della valle. Situato in una piccola pianura allo sbocco della stretta valle di Stupizza, probabilmente risentiva della consistente massa d’acqua che usciva con impeto dalla forra. Dobbiamo anche tenere in considerazione la fragilità del patrimonio abitativo dell’epoca, soprattutto per quanto riguarda le stalle.
25.03.2020, Leggère riflessioni sul nome “Natisone”.
Il nostro caro fiume con le sue chiare fresche e dolci acque … Forse non tutti sanno che l’idronimo “Natisone” è noto almeno dal 50 a.C. Un nome, dunque, dalla remota origine derivato dal verbo nătāre, nuotare, scorrere. È certo che il nostro fiume prese il nome di Natissa, quando raggiungeva direttamente il mare di Grado, dopo aver alimentato il fiorente porto di Aquielia. La variante „Natisòn” pare sia stata assunta proprio dagli abitanti della laguna di Grado, per poi rislaire come idronimo unico per tutta l’asta del fiume. I fonemi “iso, is, ens, iss” sono di provata origine celtica con riferimenti alla mitologia irlandese e cimrica collegati alla venerazione del dio „Neud”, guerriero e padre delle sorgenti. „Nou-dent-s” si incrocia con la base latina “na-, na-t, natis-is”. Possiamo ipotizzare che il punto di partenza dell’idronimo „Natisone” sia il nome stesso dell’acqua rafforzato da quello del dio celtico Noudens, divinità-re, re pescatore, re delle acque superiori (cielo) e di quelle inferiori (fiumi). Il cambio romano di toponimo, in una forma suggestivamente simile è tipico della colonizzazione romana. Gli esempi di tale „politica linguistica” sono numerosi in tutti i territori da loro amministrati. Chiamiamolo „tentativo” di nascondere o rimuovere il toponimo originale con tutte le sue associazioni religiose e rituali, sostituendolo con la forma assonante di „Natissa”, che rappresenti dunque le nuove connotazioni sociali e culturali dei nuovi dominatori.
24.03.2020, Il cavallo di Brunich.
Come ben sappiamo, i cavalli sono molto intelligenti e cercano di adattare al meglio, nel loro interesse, la situazione in cui si trovano. Il cavallo, ad esempio, mal sopporta la pioggia che bagna il suo mantello ed è nel suo istinto cercare un riparo. Ne sapeva qualcosa la Nadalia. Mentre era in cantina a sistemare le patate con l’aiuto delle figlie, la pioggia improvvisa iniziò a bagnare il cavallo lasciato libero nei pressi della stalla. Era un animale così docile che mai avrebbe causato problemi. Ma quella pioggia non gli andava proprio giù. Vedendo la porta aperta, quatto –quatto si rifugiò nella ben più tiepida e confortevole cucina. Finito il lavoro, la Nadalia si trovò questo monumentale equino tra il furnèl in mattoni e il kandreiòn, il vecchio sofà. Le cose andarono diversamente da Brunich, a Mezzana. Ogni giorno Nerina concedeva al suo amato quadrupede uno zuccherino, un po’ di pane tociato (intinto) nel miele. Sta di fatto che, forse per disattenzione, quella mattina Nerina si allontanò da casa lasciando aperte le porte, senza far caso al cavallo che entrò in cucina proprio alla ricerca di quella che era la sua consuetudine, probabilmente lo zucchero. Al rientro Nerina trovò la cucina semidistrutta: le antine aperte, tutto rovesciato, piatti e bicchieri rotti. Dopo qualche “bùah te straf, zlùadi e dep te … odletèu” tutto tornò come prima. Nerina continuò a viziare il suo caro cavallo, stando ben attenta a chiudere la cucina prima di andar via.
23.03.2020, Domenica assurda.
La giornata di ieri non trova eguali nella nostra storia. Il divieto di tutto e per tutti ci ha consegnato una domenica che non dimenticheremo. Tutti in casa, sospese tutte le attività umane al di fuori del proprio uscio. Si sono viste per la via del paese rare persone frettolose. Sulla statale sono transitate pochissime auto, quelle dei Carabinieri, della Protezione civile e due furgoncini forse del Poiana, forse del CAFC. Aggiungiamo, per puro connotato di abbondanza, altre 5 o 10 auto private al massimo. Chiusi i negozi di ogni genere. E questa settimana il programma non cambia. Sono provvedimenti che noi ormai conosciamo, ma li descriviamo per chi ci segue da fuori, per le molte persone preoccupate che ci scrivono dal Belgio, dalla Germania, dai Paesi Bassi, dalla Russia. Nelle Valli ci sono alcune persone in quarantena, ma il virus, per fortuna, pare abbia colpito una sola persona, nell’altra vallata. Il caffè al bar è un ricordo, la spesa è veloce, rapida, essenziale. Meno male che Internet accorcia le distanze e mantiene vivi i contatti. Giovedì scorso, stando a quanto hanno scritto i giorni, si è rischiato il collasso della rete oberata in tutto il mondo da miliardi di messaggi, dai dati del lavoro on-line, delle lezioni via-web. La giornata di ieri è stata difficile per la comunità croata residente nelle Valli: ai problemi del virus dilagante anche in Croazia, si è aggiunto il terremoto a Zagabria con gravi danni e migliaia di senzatetto che hanno trascorso la notte nei parchi e con la mascherina (per chi ce l’aveva) indossata. Naturalmente non potevano mancare alcuni fiocchi di neve. Auguriamo una buona settimana. Facciamo ancora uno sforzo nel seguire alla lettera le disposizioni governative.
22.03.2020, Ritualità e credenze tra ieri e oggi (2/2).
Anche oggi la vita di paese è fatta di legami e l’intreccio dei legami comunitari che costituiscono il paese è sostanzialmente equilibrato. La necessità di essere solidali è un valore che per fortuna abbiamo raggiunto da tempo, ma una volta la conflittualità era veramente diffusa e metteva a rischio valori che dovevano essere sempre riaffermati, così come ci sono legami obbligati che si intrecciano a legami scelti. E come da sempre nella storia umana, seppur modificati, ci sono relazioni e conflitti che stringiamo e alimentiamo per necessità e calcolo e ci sono relazioni che stringiamo o rompiamo perché sollecitati da sentimenti ed emozioni. Questa in sostanza è la vita di paese e, per certi aspetti, anche di pianerottolo in città, nel principio “tutto è di tutti”. Certo, in paese talvolta lo sguardo è ed era ossessivo, esiste ed esisteva il controllo sociale, la lima sorda e aguzza del pettegolezzo era pratica molto diffusa, la comunità attenta anche oggi che quel che accade avvenga secondo le regole, nel rispetto dei modelli e dei valori che sostengono il delicato equilibrio su cui si regge la vita collettiva. Non sono i contadini: sono i cittadini che hanno nostalgia della serena vita di paese! E l’emergenza sanitaria di questi periodi, pur nella preoccupazione di tutti, ne è un esempio.
21.03.2020, Ritualità e credenze tra ieri e oggi (1/2).
La cultura contadina ha la dimensione del paese. Peccato che nel corso del tempo molti aspetti di questa grande storia dell’uomo sia andata persa. Se prendiamo in esame qualsiasi suo elemento, come ad esempio un gesto rituale che esperte eseguivano dietro casa Mattelig, all’imbocco di via Lovinza, oppure una leggenda o una credenza, ci si potrebbe accorgere dell’enorme valenza antropologica della ritualità, della mitologia e dei riti magici che un tempo hanno scandito il trascorrere del tempo. Fino agli anni ’20 del secolo scorso anche in paese la sposa rompeva la bacchetta preparata da tempo, asciutta, “croccante” e lanciava i due pezzi alle proprie spalle mentre abbandonava la casa paterna, oppure riti e usanze per stimolare l’allattamento del neonato; dicono che mettevano la camicia dell’ammalato a disposizione della strega, per farlo guarire, sul balcone immerso nel buio. Si trattava di una lunga e ininterrotta catena di passaggi bocca a bocca, scarsamente attestati e che potremmo definire “la catena dell’oralità”, tutto vissuto come profondamente e radicalmente locale. Bastava andare in un altro paese, oppure sulla sponda opposta del Natisone per sentire tutt’altre usanze. Praticamente era tutto interiorizzato per rendere vivibile e comprensibile la vita qui, a Ponteacco, nell’allora comunità stretta.
20.03.2020, Il rogo di Mezzana (di Daniele Golles, 3/3)
Arrivata la carovana a Pulfero, i mezzanesi furono lasciati liberi ed hanno cercato rifugio presso conoscenti, mentre tutto il bestiame è stato condotto a Cicigolis dove è subito cominciata la macellazione». Il giorno dopo una parte delle famiglie ritornò a Mezzana cercando di salvare qualcosa, altre cercarono rifugio presso conoscenti a Tiglio o Ponteacco. La famiglia di mia mamma optò per questa scelta; mio nonno Giuseppe, padre di mia madre che lavorava nella cava dell’Italcementi a Vernasso, seguì da lontano gli avvenimenti e fu fermato a stento dicendogli che non c’erano morti o feriti. Ancora dal diario di don A. Cuffolo (pag.170 it) »Ho saputo là che i due uccisi a Mezzana erano stati caricati su di un carretto che poi è partito verso la Carnia, seguito da un altro carretto su cui c’era il reverendo »muezin« con i suoi … chierici. Buon viaggio, ma senza ritorno!».
19.03.2020, Il rogo di Mezzana (di Daniele Golles, 2/3)
Ogni persona mentre usciva fu colpita col calcio del fucile. Quando arrivò il turno di mia mamma, la nonna Perina le mise in braccio la sorella più piccola, uscì e la guardia alzò il braccio e colpì mia mamma sulla schiena perchè si piegò per proteggere la sorellina; il dolore l’ha sempre ricordato. Una volta riuniti nella piazzetta della fontana i Cosacchi piazzarono davanti a loro una mitragliatrice e un urlo diede inizio al saccheggio. Una volta finito appiccarono il fuoco ai fienili, ai portici, ai poggioli dove erano appese le kite intrecciate di pannocchie di granoturco. Loro immobili vedevano morire avvolti dalle fiamme i loro ricordi e i loro averi. Riporto cosa scrive nel suo diario Don Antonio Cuffolo, parroco di Lasiz (Moj dnevnik – La seconda guerra mondiale vista e vissuta nel ‘focolaio’ della canonica di Lasiz” – Most società cooperativa a r.l., Cividale del Friuli 2013, pag. 167): «Mezzana in fiamme. … Poi abbiamo visto una lunga colonna di bovini, uomini, donne e bambini in fila indiana scendere dal paese spinti verso Pulfero con calci e bastonate delle bestie turche, portando per essi la roba saccheggiata dai turchi. …